L’impero romano è durato almeno quattro secoli. È probabile che la musica Rap non arriverà a tanto, ma quando si sente dire in giro che il Rap ormai è tutta immondizia – i dischi migliori sarebbero usciti a metà anni ’90 – ebbene viene qualche dubbio, perché prodotti da far sconvolgere il sistema uditivo spuntano ancora come funghi. Teflon Don è un album sincero ed organico, che proviene da quella South Side che ormai ha oscurato sia New York che Los Angeles. Il rapper di Miami non lascia spazio ai suoni alla moda, agli intellettualismi né alla politica, a meno che non ci sia da difendere la propria comunità, oltre ogni ideologia e oltre le logiche dei gruppi parlamentari. I temi sono i più classici, dai racconti della vita veloce che consuma, all’esaltazione ironica di sé stessi; le prime strofe della prima canzone contengono già tutto. “I’m not a star, somebody lied, I got a pistol in the car, a 4. If I’d die today, remember me like John Lennon (…). Make all of my bitches tattoo my logo on they tittyPut a statue of a nigga in the middle of the city.” La durezza di certi testi è giustamente adagiata sopra a delle basi ansiogene prodotte da una giovane promessa del campionatore, tale Lex Luger. Ma non è questa l’unica atmosfera che si respira nel disco, trovandosi suoni ben più radiofonici e ritmi addirittura spensierati; in qualche traccia sembra quasi di sentire la colonna sonora di Pulp Fiction. Tutto ciò si amalgama bene, avendo come collante niente meno che la vita di strada e delle gangs, gente che gira armata davvero e che essendo cresciuta nella violenza è tuttavia capace di un’unione maggiore di quella che legava il ragionier Fantozzi all’ingegner Filini.“B.M.F.” (Blowin’ money fast) esprime bene questo cameratismo della bella vita con le semiautomatiche addosso; dalle mani di Lex Luger escono percussioni da marcia militare. “Roze that’s my nickname. Cocaine running in my big vains (…). Hold the bottles up where my comrades. Where the fucking felons, where my dawgs at.” Ma per le esternazioni più sincere Ross utilizza la bonus track “Audio meth”, che condivide col più navigato, e meno trasmesso, Raekwon. Si è lasciato l’ultima traccia per raccontarci come i bianchi stiano lontani dalla sua compagnia; ultimamente dice di scansare perfino quelli col BMW bianco. Tuttavia non è certo il razzismo, peraltro rarissimo nei dischi Rap, a caratterizzare il brano. Piuttosto si parla ancora di armi, macchine, donne. Tutte cose che più se ne hanno, meglio è, e se non arriveremo a 50 anni pazienza. “I’m addicted to V-12 Benzes (…). I’m addicted, canary yellow diamonds. Chinese AK’s that shoot silent. Most gangstas choose to die violent.” Teflon Don non è un classico moderno per varie ragioni, prima tra tutte la scarsezza tecnica dell’autore. L’incrocio del tappeto musicale vario e sempre valido con una lirica dalle tematiche tanto classiche quanto pesanti sarebbe forte ma non basta per il punteggio pieno. Anche perché il motto live fast and die young richiama alla mente 2Pac, scomparso a 25 anni, più che Rick Ross, un uomo di 35 anni laureato con esperienza come guardia penitenziaria. (Giovanni Fabbrini)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 3 Agosto 2011