Anche se l’idea iniziale di Isobel Campbell era quella di fare un disco con Tom Waits e non con Mark Lanegan, col senno di poi, visti i risultati ottenuti, possiamo ritenerci soddisfatti della “scelta di ripiego”. Non che la collaborazione con il Gran Maestro di Pomona ci avrebbe fatto schifo, anzi, neanche a pensarlo, ma soltanto perché il sodalizio tra l’ex Gentle Waves (nonché Belle & Sebastian) e l’ex Screaming Trees è partito da subito con il piede giusto. Un affiatamento iniziato all’indomani del diniego, per mancanza di tempo, di Tom Waits (personaggio sempre più imprevedibile) e che ha dato i suoi primi buoni frutti già con Ballad of the Broken Seas del 2006, disco d’esordio che conquistava quasi ovunque i favori della critica specializzata, consacrando la coppia agli onori della “musica alternativa”. Un successo che è andato oltre ogni più rosea aspettativa e che ha di fatto dimostrato che quelle differenze di timbriche/tonalità vocali (lei così soave, lui così cupo) e di stili (lei così deliziosamente pop, lui così profondamente rock) talmente marcate diventassero qualcosa di unico nel panorama indie rock mondiale e non di catastrofico come qualche solito menagramo pensava. Un esito positivo che ha avuto la riprova con Sunday at Devil Dirt del 2008 ma soprattutto con questa terza fatica del 2010, a nostro avviso la migliore della serie Campbell-Lanegan. Forse perché Hawk con le sue ballate country folk (No placet to fall, Cool Water, Snake Song e Eyes of green) e con le sue scorribande rock (You won’t let me down again, Get behind me e Hawk) ha un sapore leggermente più roots e americano piuttosto che pop e inglese, anche se canzoni come Time of the season, Come undone, Sunrise e To hell & back again mantengono quella leggerezza e quella impalpabilità melodica care a Isobel Campbell e molto più simili ai lavori precedenti. Resta invece un episodio quasi atipico, ma allo stesso tempo intrigante, Lately, ballata soul pop cantata magnificamente da Mark Lenegan con il supporto di un coro spiritual/gospel, quasi a voler sottolineare la complessità della vita capace di unire gioia e tristezza, odio e amore, fede e disperazione. Siamo convinti, inoltre, che questo sodalizio (e soprattutto quest’ultimo album) abbia, da una parte, fatto dimenticare molte collaborazioni e molti interessanti progetti solisti della bella scozzese (si ascolti, per esempio, il piacevolissimo Amorino del 2003), mentre dall’altra abbia donato nuova linfa (o forse meglio una seconda pelle) al cantautore americano che, dopo quel monumentale Field Songs del 2001, avevamo in qualche modo perso di vista, nonostante le eccellenti cooperazioni con Greg Dulli (The Gutter Twins, Saturnalia, 2003), con i Queens of the Stone Age (alzi la mano chi non conosce e non adori Songs for the Deaf del 2002) e con i Soulsavers (consigliato It’s Not How Far You Fall, It’s the Way You Land del 2006). In definitiva Hawk è il disco che fino a questo momento preferiamo, con Isobel alla guida e Mark di fianco a indicare la strada. Un legame artistico che, idealmente, nel nostro immaginario musicale/sentimentale ci piace accostare a quello di June Carter & Johnny Cash; e chissà se Tom Waits è lì da qualche parte a mordersi le mani… (Luca D’Ambrosio)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 21 Agosto 2011