Strumenti di fortuna (recuperati dopo un concerto dei Tell-Tale Hearts particolarmente out of mind, NdLYS) e due giorni di registrazione: il 3 e il 4 Dicembre del 1984. Così nasce Emerge, il più rovinoso disco garage punk dell’ epoca. Cinque cover che quasi nessuno conosce e tre pezzi scritti da Leighton Koizumi e dal suo fido compare dell’epoca Jeffrey “Luck” Lucas. Il primo ha già preso a morsi il beat primitivo di band come Stoics e Larry and The Blue Notes con i suoi Gravedigger Five, quando era appena un adolescente, il secondo ha suonato invece con una minuscola band psichedelica locale chiamata The Mirrors. Storie durate una stagione. Storie perdenti. Born Losers. Leighton non ha che il tempo di assaggiare l’antipasto che il tavolo viene sparecchiato, cosicchè quando va allo Studio 517 di San Diego ha la fame di una iena. E si sente. La sua voce su Emerge è il ringhio di una belva arrapata. La produzione del disco è affidata a Jordan Tarlow (all’epoca chitarrista in quell’altra band troglodita chiamata Outta Place e in seguito axe-man dei Fuzztones di In Heat, NdLYS), che però non deve fare niente: solo attaccare i cavetti dei microfoni a uno scassato registratore a due canali e alzare i volumi. Il suono è sporchissimo, deragliante, psicotico garage suonato da un treno in corsa con gli strumenti che suonano all’ unisono le più sporche cover dell’epoca e l’ugola di Leighton che scartavetra le pareti rocciose del più assurdo beat cavernicolo della stagione, raschiandone la superficie fino a sputare sangue come avviene nella devastante resa di Project Blue dei Banshees, nel finale al fulmicotone di It don’t take much (ancora oggi uno dei migliori pezzi partoriti dalla mente di Koizumi) o nella zozza One Way Ticket che chiude il disco con la grazia di una deflorazione anale. Feroce e assordante, Emerge lascia una striscia di sperma su qualunque piatto passi, lasciando la voglia perversa di essere posseduto da un morlock. Erano in tanti a divertirsi scavando fosse all’epoca. Ma loro furono i soli a trovare una fossa colma di corpi ancora vivi, in un’ eterna agonia senza quiete. (Franco Dimauro)
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