INTERVISTA AI BETTY POISON (2011) di Laura Carrozza
Il 7 ottobre a Roma, presso il music club Le Mura e sotto il segno di Annozero Live Events, i Betty Poison e i Luminal divideranno il palco in occasione del lancio di “Heroes”, prossimo appuntamento fisso della scena romana destinato ad aggregare gruppi accomunati dallo stesso spirito lungo un asse che da Roma arriva fino a New York. Abbiamo raggiunto Lucia, talentuosa front woman del gruppo romano Betty Poison: con lei la chiacchierata ha spaziato dalla musica, alla religione, dall’arte a pensieri visionari. Enjoy it.
Come nascono i Betty Poison? Chi ne è stato artefice e chi, o cosa, li ha trasformati in quello che vediamo oggi?
I Betty Poison nascono nel 2005 e nel 2007, nel senso che guardando indietro si possono individuare due momenti fondamentali nell’evoluzione del gruppo, quello genetico e la svolta nel sound, che nel 2007 assume la fisionomia definitiva di impasto a due chitarre, senza basso. Sin dal momento della loro formazione non smettono mai di suonare, prima in Italia, poi in Europa e infine anche negli Stati Uniti. Vivono il palco intensamente e credono che una band non possa prescindere dalla dimensione live, sia perché complementare rispetto al lavoro in studio, sia perchè fondamentale sul piano dell’energia emotiva che si libera quando quello che hai creato nell’isolamento della tua stanza o di una sala prove incontra e coinvolge altre persone.
È stato impegnativo, dal punto di vista psicologico, modificare il nome originale della band, Betty Ford Center, in quello attuale, Betty Poison? Penso agli effetti che un’operazione simile può avere sulla riconoscibilità da parte del pubblico, in termini di identificazione e senso d’appartenenza.
È stato un incubo! All’inizio non avremmo mai pensato che un giorno ci saremmo ritrovati a fronteggiare un problema simile, invece a un certo punto ci siamo trovati sotto inibitoria su Youtube e su Myspace e alla vigilia di una distribuzione di quattro brani di Poison for you da parte della 20th Century Fox HE la cosa ha cominciato ad assumere sfumature inquietanti. Dovevamo decidere in fretta e alla fine abbiamo ritenuto più saggio cambiare nome. Passare da Betty Ford Center a Betty Poison ci ha creato senza dubbio forti disagi, non ultimo il fatto di aver ancora il vecchio nome sulla copertina del nostro primo EP e del nostro primo full lenght, ma col tempo tutto si è sistemato… tutto si sistema!
Guardarvi suonare rafforza la convinzione che siete nati per fare musica e per stare sul palco. In Italia è ancora possibile vivere di musica facendo qualcosa di diverso rispetto alla cultura pop, intesa come popolare e di massa?
Intanto ti ringrazio. In effetti siamo nati per fare questa vita, che per inciso non è affatto facile. Sicuramente in Italia le difficoltà sono maggiori che altrove, non solo per i musicisti, ma per qualunque lavoratore, visto il degrado generale del sistema. Nella musica in particolare questa crisi si
esprime non tanto nella mancanza di band di talento, che invece ci sono e fanno i salti mortali per produrre cose interessanti, ma in una discografia “rilevante” impagliata e obsoleta, ferma da anni sugli stessi binari morti e ancora legata al modo di intendere il mercato di trent’anni fa e più. È questo
che strozza i circuiti artisticamente più vivi e interessanti e che impedisce all’Italia di avere credibilità internazionale. Ti posso garantire che all’estero nessuno ci stima, se non per le solite cose, l’opera, qualche gloria degli anni sessanta, il prog. Con tutto il rispetto sarebbe il caso di andare
oltre, non vi pare?
A novembre partirete per un tour negli States. Considerato l’approccio estremamente differente che caratterizza sia il pubblico che gli addetti ai lavori negli Stati Uniti rispetto al nostro Paese, avete mai pensato di trasferirvi in via definitiva?
In realtà questa è molto più che un’idea, è un progetto vero e proprio! Il nostro primo tour negli U.S.A. è andato molto bene, siamo in partenza per il secondo e abbiamo ormai consolidato il rapporto con la nostra promoter negli Stati Uniti. Inoltre, si sono aperte per i Betty nuove e concrete possibilità di
management. Giusto il tempo di rispettare qualche scadenza personale dei membri della lineup qui in Italia e poi ci trasferiremo lì, all’inizio per un anno, poi si vedrà!
Cos’ha condotto al passaggio di consegne alla batteria tra Tiziano Mollica e Mirko Caiazza? E come sono cambiati gli equilibri della band dopo la sostituzione?
Tiziano ha abbandonato il progetto per ragioni personali, la sua vita stava scorrendo sempre di più su un altro binario e considerando anche la natura totalizzante della nostra attività era inevitabile che a un certo punto si arrivasse a una separazione, assolutamente amichevole. A Tiziano auguriamo ogni bene, ha dato tantissimo alla band sia umanamente che artisticamente e il suo apporto resta prezioso. Peraltro era con noi dal 2005 e ha quindi ha contribuito in modo fondamentale alla costruzione del sound dei
Betty Poison. Mirko è davvero eccezionale, un batterista di straordinario talento e motivato quanto noi, oltre che altrettanto alienato, caratteristica essenziale per poter condurre questa vita anomala! Ci siamo innamorati subito del suo drumming e il suo primo concerto con i Betty è stato l’apertura agli Hole di Courtney Love all’Atlantico live di Roma, dove ha dato una magnifica prova di sè. Ha anche inciso la batteria su sei brani di Beauty is over tra i quali Time, uno dei più apprezzati dell’album.
Qual è il vostro rapporto con la religione? C’é un confine tra sacro e profano che non si può e non si deve superare oppure tutto é concesso, seppure a scopi meramente provocatori? Mi riferisco in particolare agli abiti di scena” sacri” che talvolta vi abbiamo visto indossare.Tutto quello che non è illegale è astrattamente concesso, nel senso di rimesso a una valutazione soggettiva e a questo proposito vi chiedo: cos’è per voi il sacro?
Personalmente pensiamo che il sacro sia la vita umana, ma non quel valore astratto con la lettera maiuscola per cui molte religioni decidono di sacrificare tante piccole vite con la lettera minuscola, ma proprio queste singole esistenze, che per noi invece sono le uniche ad avere valore. Ecco il senso della nostra copertina, la nostra personale reinterpretazione di Cristo passa attraverso figure che concretamente e banalmente vivono la passione di un moderno Golgota: donne picchiate, emarginati, piccoli e grandi perseguitati, categorie concrete che peraltro quasi ricordano il discorso della montagna! Se invece dobbiamo ritenere sacro solo quello che è dichiarato tale dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana… beh, stiamo parlando di un’istituzione che ritiene offensiva qualunque cosa non sia una professione di fede e francamente non possiamo certo mettere le ganasce alla nostra libertà intellettuale per questo. Peraltro non sarebbe male se tra un dogma e l’altro pagassero l’Ici.
Il vostro secondo lavoro, “Beauty is over”, é uscito nell’aprile di quest’anno. Cosa é cambiato rispetto all’album d’esordio, in riferimento alla reazione dei vostri fan? Non è sempre facile soddisfare le aspettative di chi ascolta, soprattutto nel caso di un’opera prima così apprezzata.
Come abbiamo avuto occasione di dire molto spesso, i nostri supporter sono il meglio che possa capitare a una band. Sono appassionati, liberi, stimolanti, non hanno pregiudizi né preclusioni e finora hanno sempre risposto con calore al nostro lavoro, sia in Italia che all’estero, apprezzando molto sia Poison for you che Beauty is over. Corrono con noi!
Per ben due volte, a Roma e a Milano, avete aperto i concerti delle Hole. A livello emotivo, quanto pesa essere un gruppo spalla e dover catturare l’attenzione anche di coloro che vi ascoltano per la prima volta?
All’inizio temevamo un po’ la classica “sindrome del gruppo spalla”, cioè che potessimo essere visti come una specie di ostacolo tra il pubblico e l’evento principale… e invece sai cosa? Non solo diverse persone già conoscevano e apprezzavano i Betty e cantavano i nostri pezzi, ma dopo le prove di Milano e Roma abbiamo guadagnato anche molti nuovi supporter. È stato tutto bellissimo.
Uno degli aspetti che più colpisce dei vostri pezzi sono i testi. Mai banali, spesso forti e impegnativi, non disdegnano temi scottanti come la malattia mentale o l’omosessualità. Come nascono e soprattutto dove vi conducono? Riuscite a esorcizzare fantasmi del passato o del presente grazie alla musica? È la giusta terapia per una ‘rehab’ ben riuscita?
Hai analizzato la situazione perfettamente. I testi dei Betty sono una sorta di esorcismo che ci permette di sconfiggere i demoni del passato, un flusso di visioni spontanee con cui descriviamo il presente e che ci corrono sotto la pelle ogni giorno, ma anche lo strumento con cui affrontiamo in modo più strutturato temi che ci stanno a cuore, tra i quali sicuramente lo squilibrio psichico, l’omosessualità, l’alienazione e le perverse contraddizioni della società.
Quanto conta l’interazione e l’influenza tra la musica e le arti? Una delle vostre canzoni, la splendida Time, é stata scelta come colonna sonora di una recente performance realizzata a New York da Anton Perich, fotografo ufficiale di Andy Warhol. Quanto ha cambiato la percezione del pezzo?
Conta tantissimo, da questo punto di vista abbiamo una visione assolutamente umanistica dell’arte, tutto confluisce in tutto, in ultima istanza e nel caso di Time più che in ogni altro brano dei Betty. Quasi subito, infatti, è arrivato il bellissimo video prodotto dalla Minimal Cinema, che ha rappresentato visivamente e al cento per cento la verità psicologica del testo, dando vita a suggestioni lynchiane e a livide dilatazioni di taglio fortemente espressionistico. Non a caso il video è stato immediatamente programmato su
Tapetv, molto seguita in Germania, Austria e Svizzera. Il brano ha poi incontrato Anton Perich, fotografo storico di Andy Warhol e autorevole membro della celebre Factory. Nel 2010, Perich ha riacceso per la prima volta dagli anni Settanta la sua celebre Painting Machine concedendosi a un commercial e
Time è stato la colonna sonora della performance, che si è tenuta a New York ed è stata documentata dalla Minimal con un video in seguito proiettato in molte fra le principali fiere europee della moda: a Berlino, a Copenaghen e in Italia alla White Gallery di Milano e al Pitti di Firenze. Un bel giro! E
pensare che Time è un brano di sei minuti, nato anarchico e lontano da ogni parametro radiofonico o televisivo che possa definirsi conveniente. Una bella dimostrazione di come la vita pulsi spesso al di fuori degli schemi e l’arte comunque intesa sia un modo polifonico di parlare della stessa cosa.
Cosa accadrà nel futuro dei Betty Poison? Non parlo necessariamente dei prossimi due mesi, mi piacerebbe sapere dove vi immaginate tra 20 anni.
Oddio, vent’anni sono veramente un sacco di tempo… è un tipo di riflessione che ci fa paura! Ci consacriamo a un eterno presente… secondo per secondo!
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