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Kyle Eastwood – Songs From The Chateau (2011)

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Avevamo fatto la conoscenza di Kyle Eastwood anni fa attraverso l’amorevole sponsorizzazione di papa Clint che, pure lui notoriamente appassionato di jazz, ne aveva seguito con orgoglio i primi passi nel mondo del jazz e lo aveva pure voluto a comporre (o collaborare alla composizione di) alcune importanti colonne sonore dei suoi film (“Mystic River” nel 2002, “Million Dollar Baby” nel 2004, “Flags of Our Fathers” nel 2006, “Lettere da Iwo Jima” nel 2006, “Gran Torino” nel 2008 e “Invictus” nel 2009). Lo studio del basso elettrico – avendo come maestro il grande bassista francese Bunny Brunel -, la possibilità di accedere facilmente al backstage di importanti concerti e festival (servendosi come passepartout dell’influente presenza paterna) dove faceva la conoscenza delle icone più amate della scena, una lunga gavetta negli ambienti jazzistici di New York e Los Angeles iniziata al raggiungimento della maggiore età (è nato a Los Angeles nel maggio 1968), la costituzione di una propria formazione, il Kyle Eastwood Quartet, l’incisione di quattro album (il primo, “From There to Here”, un mix di classici e composizioni jazz pubblicato dalla Sony, cui sono seguiti “Paris Blues”, “Now Was”, “Metropolitain”) a partire dal 1998, ne hanno fatto una personalità più che credibile nei circuiti jazzistici internazionali ed una delle realtà più interessanti dell’odierno jazz giovane che non si sogna affatto di rinnegare la grande tradizione. Arriva così questo quinto album che dovrebbe sancire la sua definitiva consacrazione. Un disco che, vuoi per la fondamentale lezione di Brunel, vuoi per i lunghi periodi trascorsi a Parigi, è decisamente influenzato da atmosfere smooth francese ed è stato (‘of course!’) registrato in un castello del 15° secolo (il Couronneau, nella regione di Bordeaux) in terra di Francia con un’affiatata band (Martyn Kaine alla batteria, Andrew McCormack al piano, Graeme Blevins al sax, Graeme Flowers alla tromba). Al di là del jazz predominante, di una fondamentale componente melodica e di una pronunciata ‘eloquenza’ stilistica, vi si colgono licenze di grande originalità costituite da accenni latini e blues (oltre a funk, soul e rythm’n’blues) che fanno parte del bagaglio acquisito da Kyle negli ascolti giovanili (i dischi che circolavano in casa sua) e nel corso degli anni della maturazione. I brani che colpiscono maggiormente la fantasia di chi ascolta sono l’irresistibile “Cafè Calypso” e “Andalucia“, quest’ultimo con un magistrale assolo di basso del titolare del disco, mentre “Moon Over Couronneau” ha qualità eteree grazie ad un magistrale assolo di piano di McCormack. “Soul Captain” è impreziosita dal tocco virtuoso di Blevins e Flowers e dei loro strumenti a fiato, “Down At Ronnie’s“, dall’incedere funky, è dedicata al leggendario locale londinese (il Ronnie Scott’s Club) nel quale sono passati a suonare tutti i più grandi musicisti del jazz. Kyle conferma di essere un musicista preparato ed eclettico, davvero espressione di un modo moderno di intendere il jazz (nonostante il sound si ispiri ai grandi capolavori soul-jazz degli anni Settanta), in virtù di un groove elegante, fresco e trascinante, e per nulla ortodosso. Per promuovere il suo disco Eastwood è venuto quest’estate in Italia proponendo la sua musica alle platee di diversi appuntamenti jazz disseminati lungo la penisola. (Luigi Lozzi)


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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 19 Settembre 2011

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