Trent’anni anni compiuti quest’anno, Matisyahu Miller, ebreo di formazione chassidica, vive a Brooklyn ed è ormai incontestabilmente uno dei personaggi più carichi di energia e passione tradotti in musica che esistano oggi in circolazione. Dice di sé: «Non mi ritengo all’avanguardia ma Dio mi ha investito di quest’incarico: portare pace e unità tra la gente, è questo lo scopo della mia musica.» Caspita! Che musica farà mai costui? Il suo primo album del 2006 si intitolava Youth: la disciplina e la ribellione, la fede fortemente espressa e avente come risultante inni all’amore e alla rivoluzione delle coscienze. Quale musica devota e vibrante, quale tratto di unione tra pulsioni terrene e anelito al realizzarsi delle proprie preghiere? Lo sapete, vero? Il reggae, non poteva essere altrimenti, ovviamente! Grande Matisyahu! Il secondo album in studio, Light, da poco uscito, è una grande conferma e allo stesso tempo un grosso balzo in avanti nella capacità di espressione di un simile talento. Anzi, a essere realisti, è un salto a piè pari giù in strada! Proprio così: per quanto attivissimo dal vivo (a quando un tour in Italia?) e sostenuto da una vivace attività dei suoi fan sulla rete, per quanto forte di una formazione da solida posizione socioculturale, Matisyahu, sciolte le riserve sull’utilizzo “eletto” della propria gioventù, ha l’urgenza di scendere in strada. Anche da solo (come ritratto nelle foto del CD-booklet), con le proprie certezze i cui confini sfumano nell’ansia e nella frustrazione dell’attesa, ma inevitabilmente in strada, affinché la “luce” sia di tutti, in quel “momento sottile nella vita di ciascuno in cui ci sarà dato di splendere, per spazzare via il buio” (I Will Be Light). Affinché “un giorno noi tutti saremo liberi e orgogliosi di trovarci a cantare sotto lo stesso sole canzoni di libertà dall’odio e dalla violenza” (One Day). Nella strada poi è il conforto a non cedere sotto il peso del silenzio di Dio, quando ci si sente come “una candela che cerca di restare accesa in questa notte ventosa” (Silence). Ho citato fin qui solo tre brani, pietre angolari dell’album, ma ce ne sono 13 in tutto, e sappiate che musicalmente trattasi di New Reggae, passatemi il termine, perchè assolutamente completo di tutte le influenze che sposano oggi le culture “giovanili” legate all’urgenza del messaggio e alla coralità della condivisione. Se proprio volete pensare ad un parallelo, immaginate allora una spontanea rigenerazione della intuizione manifestata dai Police nei primi due album, con background generazionali e politici diversi di 30 anni! Ops… Il buon Matisyahu nasceva proprio negli anni in cui vedevano la luce Outlandos d’Amour e Reggatta de Blanc. Un altro mini-spot per trasmettervi la mia gioia per aver apprezzato questo disco: One Day è la canzone che oggi, cantata dalla buonanima di Bob Marley, riporterebbe il miglior reggae e un’immensa emozione alle orecchie del mondo intero! (Gianluigi Palamone)
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