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Recensioni: Beck – Sea Change (2002)

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Il concetto oramai è chiaro a tutti: Beck Hensen è un artista dalle innumerevoli sfaccettature e dalle infinite risorse. Praticamente, un genio assoluto. Ogni sua realizzazione, anche la meno entusiasmante, come per esempio Midnite Vultures del 1999, ha sempre ripercorso, con fine abilità e affascinante stravaganza, quei percorsi sonori e culturali scavati profondamente nei nostri cuori di eterni e scanzonati loser. Da Golden Feelings (registrato su cassetta nel 1993 e successivamente rimasterizzato su CD nel 1999) al recente Modern Guilt del 2008, le composizioni di questo illustre talento della scena americana si sono sempre nutrite di un’evidente bramosia musicale attingendo a piene mani da quell’immaginifico calderone chiamato rock. Ulteriori testimonianze di questo suo sconfinato fervore creativo sono, tra l’altro, le rivisitazioni di alcuni celebri album, tra cui The Velvet Underground & Nico e Songs Of Leonard Cohen, attraverso un progetto aperto davvero originale, denominato Record Club, che ha visto la partecipazione di personaggi quali Nigel Godrich e Devendra Banhart. Una passione, così immediata e così incosciente, che ha condotto il songwriter di Los Angeles a tracimazioni sonore di fine qualità che vanno dal folk al country rock, dal blues al garage, dall’hip hop al funk, dal pop all’elettronica. Un continuo mischiare le carte in tavola quasi sempre accompagnato da quel vezzo così politicamente scorretto, ironico e altresì “diversamente romantico” che con Sea Change, però, prendono una strada totalmente diversa lasciandosi guidare soltanto dai sentimenti. Un sentimentalismo dettato da una cocente delusione d’amore, da cui prendono vita dodici straordinari brani che nel giro di poco più di quarantacinque minuti riescono a fare della semplicità e della malinconia dei punti fermi e inossidabili della sua scrittura musicale realizzando – soprattutto per chi scrive – un capolavoro di ineguagliabile bellezza. Un album dalle letture metriche puntuali e uniformi che, malgrado la sua fonda mestizia, riesce a donare una piacevole sensazione di pace e di candore: dal viaggio iniziale di The golden age fino alla conclusiva Side of the road, passando per la splendida Guess I’m doing fine e per Round the bend in cui aleggia, più che mai, lo spirito del grande Nick Drake. Frammenti di vita vissuta che s’insinuano nelle pieghe del cuore. Un cuore spezzato che, malgrado tutto, è riuscito a scrivere un’altra pagina indimenticabile di quella che tutti noi oramai chiamiamo popular music. Canzoni dalle atmosfere suggestive, che non fanno mai rumore e che potresti ascoltare per ore, per giorni, per mesi… (Luca D’Ambrosio)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 14 Ottobre 2011

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