Anni ottanta (dai quali sembra non si esca vivi, cit.), pomeriggi di gruppi di studio di latino o matematica, spesso intervallati da “cure musicali” e da ascolti alla cieca proposti da uno dei membri del gruppo. Poteva capitare così, sbirciando attraverso le finestre, di vedere quattro o cinque nerd liceali ballare come idioti al suono di “letting the days go by, let the water hold me down….” Che LP, ragazzi… Brian Eno e David Byrne (che arriveranno su, in cima all’Olimpo, all’apoteosi dell’imprescindibile con My Life In The Bush Of Ghosts) compiono il disco perfetto. I due diversi lati del vinile ti portano verso due diversi stati d’animo, e poi ogni pezzo è esso stesso un viaggio all’interno dello stato d’animo scelto. Subito Burn under Punches, Crosseyed and Painless, The great Curve: musica ipnotica, ritmi incalzanti, trame semplici ma piene di intarsi, sfaccettature, piccoli episodi che entrano ed escono dal loop disorientandoti nel delirio. Questi pezzi non hanno trent’anni. Di là, Houses in Motion, Listening Wind, ci fanno entrare in mondi perduti e lontani, cercati e trovati nei sogni: nativi americani seduti attorno al fuoco cantano tranquilli, cantastorie arabi davanti ai bambini raccontano, ascoltati da occhi sgranati… Un disco fondamentale, che ha influenzato molta della musica degli anni successivi e che ancora oggi influenza molte delle produzioni di questi anni; e che invidia per quelli che assistettero al concerto a Roma del 1980 (potete trovare delle tracce su youtube)! La scena newyorkese degli anni ‘80, irripetibile per qualità, densità di talenti e generosità nelle collaborazioni, ancora oggi fa scuola, insegna e ricorda a tutti cosa significa lasciare davvero il segno. (Alessandro Grainer)
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