Aveva provveduto il regista Aki Kaurismäki a lanciarli (e a farli conoscere in giro per il mondo: il loro lancio si consumava allo ‘strillo’ di “la peggior rock band del mondo”) mettendoli come protagonisti di due film: “Leningrad Cowboys Go America” dell’89 e “Leningrad Cowboys Meets Moses” del ’93. Una sorta di Blues Brothers clonati e moltiplicati (una dozzina di effettivi) in salsa nordica, dalle acconciature bizzarre dai ciuffi pronunciati e dall’abbigliamento eccentrico, e le scarpe a punta, ma quanto mai accattivanti. Da lì l’eclettico e stravagante gruppo si è costruito una buona credibilità ‘cult’ (in alcune occasioni hanno aperto gli act di Rolling Stones e Bruce Springsteen) e una carriera che ancora li vede attivi e presenti nella commistione fra i generi musicali più disparati (Rock‘n’Roll, Punk, Blues, Pop, Metal, Folk, Soul, Etnica, Psichedelia) con performance sempre irriverenti e canzonatorie ma senza mai raggiungere le vette del consenso condiviso. Il nuovo album “Buena Vodka Social Club” (ottavo in studio) gioca sul nome del progetto che nel ’98 Ry Cooder e Wim Wenders realizzavano a Cuba con i leggendari ‘nonnetti’ dell’isola di Castro. Si compone per intero di canzoni inedite, contravvenendo l’abitudine consolidata di infarcire i loro dischi di cover strampalate ma favorendo l’emergere della più autentica vena del collettivo. Tra voci, strumenti elettrici e fiati, ritmo e sonorità etno-world la fanno da padrone come base del loro impegno, un disco che ‘suona’ immediato, spontaneo come sempre, non privo (ovviamente) di ironia demenziale, macchiettismo e tocco cabarettistico dal gusto mitteleuropeo, ma rende un merito maggiore alla precipua qualità compositiva del collettivo aperto. Vanno accolti quindi con simpatia brani come “Machine Gun Blues”, che è un robusto metal, “Drill A Hole“ che ha struttura hard-rock o “All We Need Is Love“ dai toni ‘industrial’ che si mescolano con gli arpeggi d’una chitarra classica, “Frijoles Y Lager” che ci porta dalle parti del Mariachi mentre “Gimme Your Sushi” si rifà al rockabilly anni ’50, “I Kill the Dog!” è un Metalcore intinto nel Tex-mex e “Gasolina” ha tipiche, deliranti, sonorità Gypsy-Punk dei Balcani. Manca però – alla resa dei conti – quel caos primordiale, vorticoso, ribelle e inebriante, che da sempre caratterizza il carrozzone musicale sgangherato dei Cowboy di Leningrado e che probabilmente si riesce a gestire meno bene quando si ha a che fare con materiali nuovi ed originali. C’è troppa carne sul fuoco ma non è escluso che da qui si stia partendo per una nuova fase del loro progetto musicale. (Luigi Lozzi)
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