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10.000 WATT DAL SOTTOSUOLO

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Italiani, poco conosciuti o in procinto di sfondare di Jori Cherubini
C’è stata una brusca sferzata di ML. Molti di voi se ne saranno accorti. Il PDF non esiste più. Per esigenze pratiche è convenuto mettere tutto sul sito. Questo cambiamento ha portato a dei ritardi importanti sulle consegne dei pezzi da pubblicare: mea culpa. A farne le spese è stata soprattutto questa rubrica. Quindi chiedo scusa ai numerosi gruppi che hanno atteso così tanto per vedere pubblicata la loro recensione, e pazienza a quelli che dovranno aspettare ancora un po’. Intanto sopra la mia mensola insistono impilati decine di dischi che mi guardano di sottecchi. Conto di sbrigare le faccende il prima possibile; intanto sono obbligato a ripetere che gli album recensiti dovranno rispondere a dei canoni di giudizio equi, parziali ma soggettivi. Buona lettura!


VandemarsBlaze (Ultraviolet Blossom, 2011)
Vengono da un luogo incantato e affascinante – il monte Amiata, provincia di Marte, pressi di Siena – e sicuramente parte della magia del posto è stata trasmessa a Blaze, che rappresenta il secondo lavoro sulla lunga distanza del gruppo toscano. La parte centrale della band è costituita dalla bravissima e carismatica Silvia Serrotti: dotata di una voce pulita, ma ruvida all’occorrenza, e potente che riesce a manifestarsi al meglio durante le numerose esibizioni che i Vandemars portano in giro per l’Italia (centrale). Ad accompagnarla ci pensano una batteria, un basso e due chitarre; per un totale di una ragazza e quattro ragazzi scalmanati – ma estremamente professionali quando si tratta di suonare – che hanno fatto del rock una ragione di vita. Il risultato è un album dotato di interessanti sfumature, importanti cariche melodiche, sferzate ritmiche decise e un approccio esecutivo che talvolta rimanda ad artisti internazionali blasonati come Patti Smith (Group) e PJ Harvey là dove la voce di Silvia somiglia finanche a Beth Gibbons (sentire Naked and Pure) e Diamanda Galàs (la spiritica A Circle For Me) ma che non tradisce una personalità d’insieme solida, ricca di verve e dotata di contagiosa passione. Blaze si presenta ostico ma bastano pochi ascolti per essere rapiti dalle mille sfumature presenti nel disco. Eccitante, esportabile. (J.C.)


Polar For The MassesSilence (Black Nutria, 2011)
Rock duro come la pietra, riff al vetriolo e una sessione ritmica rovente come un braciere. Questi gli ingredienti che i Polar For The Masses usano per rendere al meglio una ricetta dal sapore agrodolce e dai ritmi serrati. Vicenza come quartier generale. Silence è il secondo album dopo Let Me Be Here del 2007 (non contando l’EP d’esordio Garage Session, 2004). 32 minuti sporchi e neri d’alta carica emotiva, che mirano al cuore, senza fronzoli inutili o banalità di circostanza. Il primo brano, Consequences, si ficca in testa senza lasciare scampo grazie a un giro di basso perfetto e una melodia che più azzeccata non si può. U.T.W. si palesa ritmica al punto giusto per poi sgranarsi fino a incarnare un rock cavernicolo reso ancestrale da una batteria martellante e ossessiva. Sailing Away si avvicina alla cifra stilistica di una band di cui abbiamo lodato e narrato le gesta in diversi frangenti: i senesi Dorothi Vulgar Question; Ignorance farebbe la sua porca figura in molti album dei Beastie Boys. Insomma i ragazzi ci sanno fare e la musica è parte integrante del loro D.N.A. Silence è stato esportato oltre confine in paesi quali Giappone, Svizzera e Germania, e non solo. Non fatevelo sfuggire. (J.C.)


Gran Turismo VeloceDi Carne, Di Anima (Lizard Records, 2011)
Chi scrive certamente non è un amante del progressive rock, genere tanto in voga in Italia agli inizi degli anni ‘70 fintanto che il punk non lo spazzò via fino a farlo divenire polvere, poi fango, poi di nuovo piccolo germoglio. Il pregiudizio verso certuni generi (di accademica nicchia) ancora non è passato di moda. Per questo ci vuole coraggio, nel 2011, a battere il ritmo rifacendosi a gruppi quali P.F.M., Orme, Banco del Mutuo Soccorso, ma anche Emerson Lake & Palmer e King Crimson (alcuni passaggi di Misera Venere rimandano la mente al capolavoro dei capolavori: In The Court Of The Crimson King). I quattro componenti del gruppo, dotati tecnicamente e tra loro in buona sintonia, sembrano divertirsi molto. Per un po’ ci divertiamo anche noi che siamo dall’altra parte dello stereo; i primi tre brani mettono in evidenza le doti canore di Claudio Filippeschi, e del gruppo in generale, che dimostra di saper scrivere discrete canzoni che addirittura – in taluni frangenti – si possono mandare a memoria. La brutta sorpresa arriva con Quantocàmia che fin dal titolo palesa i gruppi ascoltati al liceo dalla band – Pink Floyd, Zappa, Genesis? – senza ovviamente avere la medesima aura. Il resto del programma alterna momenti anche molto piacevoli, l’eccellente La Pura o L’estremo Viaggiatore, a lungaggini esiziali e stancanti quando si vogliono dimostrare le doti tecniche, a discapito della “forma canzone”. Il nostro consiglio, viste e considerate le evidenti potenzialità, è quello di usare il tornio e la lima quando l’arzigogolo voluttuoso cerca di avere la meglio sulla ragione. (J.C.)

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