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Iggy Pop – The Idiot (1977)

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Lust for life è il secondo frutto della prolifica collaborazione con David Bowie, il personal trainer che tira fuori Iggy dalla merda ogni volta che lui ci si va a ficcare. È il 1977 e Iggy non ha avuto disponibilità di denaro per anni. Il rischio più grosso è che adesso dissipi i guadagni delle vendite del primo disco solista e della tournee appena terminata in droghe e che non gli resti nemmeno un dollaro per comprarsi la carta da culo. Così David lo invita a prenotare gli Hansa Studios il prima possibile, una volta chiuso il tour di The Idiot. Del resto ha in serbo ancora diversi pezzi per lui. Il più bello ha un riff incalzante ispirato al codice morse usato come sigla per i notiziari berlinesi della American Forces Network. La batteria apre in parata. Poi arriva il basso, il piano, le chitarre e infine la voce dell’Iguana. Suonano tutti all’unisono. Tutti la stessa nota. Corrono tutti, inseguendo la vita. Anni dopo i Jet lo copieranno pari pari per Are you gonna be my girl? e il pubblico credulone e romantico penserà sia frutto della loro verosimilmente esigua fantasia. (Nota di Lys.) Mandateglielo pure a dire. Iggy & David lo piazzano in apertura dell’album, perché quello è il messaggio: correre per la vita. Iggy ha rischiato troppe volte di perderla e ora ha capito che non ne ha una di scorta. Lust for life è carico di energia positiva. Iggy sorride in copertina. Iggy sorride per la prima volta. Ricorda i tempi bui in Turn Blue sputando parole che gli fanno ancora tanto male da evitare di stamparle sulla busta del disco (Gesù, questo è Iggy […] c’è freddo in questa stanza, troppo freddo […] accettami, non rifiutarmi, non scordarti di me). Non è più il ghepardo che morde la strada col cuore gonfio di napalm. Adesso è un viaggiatore che guarda le stelle splendenti dal finestrino della sua auto. Lo racconta su The Passenger, costruita su un elementare giro di chitarra ideato da Ricky Gardimer di getto, ispirato dal profumo di mele del giardino di casa dove si rifugia nella primavera del ’77, al rientro dal tour di The Idiot. Una sequenza tanto semplice quanto efficace di accordi su cui le voci di Iggy e di Bowie cantano un banale ritornello da asilo nido. Ti si stampa subito in testa, senza nemmeno dovergli leccare il culo come fai coi francobolli, diventando uno dei pezzi simbolo della nuova vita dell’Iguana. Di tutte le vite successive alle prime dieci che ha già vissuto, intendo. L’imprimatur del pierrot Bowie si sente forte sui due pezzi successivi: Tonight e Success. La prima verrà reincisa dallo stesso Bowie anni dopo, con il clitoride di Tina Turner in bocca. L’altra è uno svagato bubblegum rock con tanto di handclapping e controcanto. Neighborhood Threat è invece una cavalcata elettrica con un bel lavoro di Gardiner e Carlos Alomar che pare adeguare i toni del Dylan di Blonde on Blonde alla depravata realtà urbana degli anni ’70. Unico pezzo scritto interamente da Pop è la Sixteen dove torna a parlare d’ amore nell’unico modo che conosce, quello dell’umiliazione carnale “I must be hungry ‘Cause I go crazy over your leather boots”. “Ovunque io vada, sono solo” aggiunge amaro alla fine. Ma Bowie ha già abbassato i volumi e non riuscirete a sentirlo. Forte e brillante di glam è pure Some Weird Sin col basso di Tony Sales gonfio come una pustola, un Bowie su di giri seduto al piano e un assolo sbracato di chitarra lungo appena dieci secondi. Per la prima volta attorno a Iggy si respirano buone vibrazioni, energia positiva e non solo decadenza e puzza di marcio. Alla fine del disco, la band si concede pure un divertito cambio-mansioni facendo sedere Gardimer alla batteria, Bowie al piano e facendo impugnare a Tony Sales la chitarra di Ricky e a Hunt il basso del fratello. Ti hanno mai detto che hai un bel sorriso? dice Andrew Kent a Iggy dopo aver sviluppato la foto di copertina. (Franco Dimauro)

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