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Lil’ Kim – The Naked Truth (2005)

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“I’m the L-I-L to the K-I-M / And not B-I-G, R.I.P. ba-by / I, rep BK and the, N.Y.C. / Don’t no bitch do it like I D-I-D / And, since nine-six a chick been on TV / Like, MTV and, BET / So T-R-L and, one-oh-six / I’m in heavy R.O. when they play my shit…” Fare il punto della situazione è sempre utile. La signorina sta dicendo (tradotto dal gergo) che dal 1996, anno del suo primo album solista, ha avuto una forte presenza nei principali network musicali giovanili col ruolo di ragazza carismatica (alla lettera di gallinella). La componente sexy e – aggiungo io – straordinariamente aggressiva la deve avere aiutata parecchio. Eppure all’inizio del 2005 molti osservatori della scena rap americana avrebbero dato Lil’ Kim per spacciata; il talento proprio dell’artista svincolato dal carisma provocatorio del personaggio e dalla sua straordinaria vitalità tutta femminile poteva essere considerato tranquillamente scarso e i prodotti usciti a suo nome non avevano mai sbalordito nessuno per qualità tecniche e sound. Dal 1997, anno della dipartita di Christopher Walace (conosciuto anche come The Notorious B.I.G.) non si sono succeduti che due album: “The Notorious K.I.M” e “La Bella Mafia”. Come semi esperto del settore posso asserire con la dovuta sicurezza un concetto: nessuno di questi due titoli verrà ricordato nei libri di storia. Piuttosto Kimberly in quell’epoca sembrava intenzionata a fare tutt’altro che buon rap, vendendo la propria immagine nei cinque continenti: chi non ricorda il suo ruolo di presentatrice delle spogliarelliste nel video di Lady Marmalade tratto dalla colonna sonora del film “Moulin Rouge!”? Ci ha rotto le scatole per l’intera estate del 2001! Ma campare di rendita non sempre è dignitoso, anche se la sua immagine unita alla memoria del fidanzato scomparso certamente era una vacca da mungere che dava il suo latte fresco pastorizzato. In modo direi imprevedibile, Lil’ Kim ha scommesso tutta se stessa in un disco che porta il suo volto in primo e che per giunta si intitola “The Naked Truth”. Un esempio di autostima e sicurezza; dal 2005 sono queste doti che hanno preso il posto della sfacciataggine dal sapore un po’ acerbo a cui ci aveva abituati. Perché dico che “The Naked Truth” è il tentativo coraggioso che cambia tutto nella carriera di Kim? La copertina non è sexy come le prime tre. E poi ricevere il punteggio pieno nella valutazione della rivista specialistica statunitense The Source non è cosa da poco, anzi. Ricevere cinque microfoni da The Source è vincere il premio Nobel dell’hip hop (o il Pulitzer che per i giornalisti è anche meglio). I pezzi che preferisco, quelli senza i quali i 5 microfoni sarebbero stati un miraggio, sono Lighters Up, brano dal sapore quasi raggae, con una Lil’ Kim che sembra ricordare la migliore Lauryn Hill (che chissà che fine ha fatto?) e Woha, pezzo hip hop per antonomasia con tanto di un testo pieno di cliches tipici del genere. Niente male per una donna; al di là del maschilismo latente, due anni fa mi sono avvicinato per caso alla direzione di una radio e ho fatto la singolare scoperta che le doppiatrici donne guadagnano molto meno dei loro colleghi maschi. Il motivo è che le voci femminili sono meno specifiche e più facilmente imitabili, dunque meno pregiate; così anche una rapper col reggiseno e lo smalto, inutile negarlo, fa più fatica di un uomo a farsi largo negli stereo della gente. Ma signori, non Kimberly D. Jones. (Giovanni Fabbrini)

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