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PJ Harvey – Rid of Me (1993)

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Troppo impura per la Too Pure, Polly Jean Harvey approda alla Island per la pubblicazione del suo secondo disco. Accanto a lei ci sono ancora Robert Ellis e Steve Vaughan, di fronte a lei invece stavolta c’è lo stupratore Albini, a portare quell’irresistibile tocco Pixies che fa di Rid of Me uno dei dischi irrinunciabili di quel 1993. È grazie alle mani di Steve che il suono di Harvey si dinamizza, come fosse una boccetta di gocce omeopatiche. Folate di distorsione che spazzano il pavimento sudicio del Pachyderm Studio che la band ha noleggiato per tutto il Dicembre del 1992. Proprio com’era stato per Surfer Rosa dei Pixies e come tornerà a essere, appena due mesi dopo e proprio negli stessi studi, per In Utero dei Nirvana (che lo sceglieranno proprio dopo aver ascoltato il suono di Rid of Me, NdLYS). Abrasione come concetto-base di una forma moderna ma altrettanto economica di canzone folk. Perché questo è, in fondo, la musica di Harvey. E non serve la cover “rivisitata” di Highway 61 per ricordarcelo. Minimalismo blues e folk cui piace ogni tanto vestirsi come una femmina da bordello (Man-Size Sextet avvolta nei toni drammatici dei violini e sfuggita, per questo, dalle grinfie dello stupratore) e servito sul vassoio di rumore dell’era grunge. Il canzoniere di Polly è tuttavia ancora privo di canzoni indimenticabili. Quello che piace di Rid of Me, lo si ammetta o meno, è l’atmosfera psicotica complessiva, il saliscendi emozionale che pervade l’intero album, la tempesta elettrica che avvolge una donna dal corpo esile e macilento, l’urlo anoressico di un’ odalisca che ha perso l’anima in un campo di cotone della Louisiana e la verginità in una provincia qualsiasi del sud-ovest dell’Inghilterra. Leccami le gambe, sono in fiamme. Lecca le mie gambe avvolte dal desiderio. (Franco Dimauro)

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