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Huxton Creepers – 12 days to Paris (1986)

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La prima cosa che ricordo degli Huxton Creepers di Melbourne è King of the road, una splendida roba alla Hoodoo Gurus-meets-Stems che uscì nel 1984 sulla raccolta Asleep at the wheel. Furono quei due minuti infuocati e marziali che mi fecero innamorare di questa band di cui nessuno allora sapeva nulla in Italia. Negli anni successivi non sarebbe cambiato molto: degli Huxton Creepers si sarebbe continuato a parlare tra pochi carbonari. Io non ne avrei mai parlato con nessuno, che nella mia città anche i carbonari erano già stati seppelliti. Avrei però continuato a comprare i dischi degli Huxton Creepers. A seguire il loro viaggio verso Parigi. Le caravelle avrebbero lasciato il porto australiano, dopo aver messo in acqua una scialuppa costruita nelle officine nautiche del Trafalgar Studios con Rob Younger come supervisore e capo officina, nel 1986. 12 days to Paris era un viaggio ricco di bei presagi per chi come me era innamorato perso della nuova musica australiana, non solo quella più brutalmente legata al punk dell’asse Saints/Radio Birdman/Birthday Party ma anche di quella più sofficemente pop di band come Hoodoo Gurus, Church, Stems o Go-Betweens. Il filone d’oro dove scorreva pure il suono degli Huxton Creepers di 12 days to Paris che, grazie ai fini intrecci chitarristici di Paul Thomas e Rob Craw era capace di ritirare a lucido (si ascolti la competente cover di Shake Some Action presente nel secondo CD di questa grassa reissue, NdLYS) la magia del jangle-pop di Cyril Jordan e Chris Wilson (ma che, pure, nei momenti più accesi come Part the seas o I will persuade you sembrava voler fare il verso al combat rock di Alarm o Lords of The New Church, NdLYS). Nemmeno una presenza ingombrante come quella di Chris Copping dei Procol Harum che si fa carico di colorare col suo Hammond l’aurora di Guilty e la laguna di I swallowed my pride riesce ad oscurare la grazia di un disco che all’ epoca ci consolò dalla delusione di Heyday dei Church, ci tenne compagnia tra la pubblicazione di Mars Needs Guitars e Blow Your Cool dei Gurus, ci addolcì l’attesa per il debutto degli Stems e finì, con Liberty Belle and The Black Diamonds Express dei Go-Betweens e il debutto degli “australiani di Svezia” Playmates tra i capolavori pop del 1986. Non scordatevi degli Huxton Creepers. (Franco Dimauro)

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