Sono passati sei anni dall’ultimo album in studio e Mary Black, una delle voci più popolari della terra d’Irlanda ci regala un nuovo lavoro, a lungo meditato e atteso con impazienza dai fan di lungo corso. Il non essere riuscita a sfondare a livello globale (ma si sappia che la Black è popolarissima in molti angoli del mondo) poteva – solo all’apparenza – sembrare un limite, dettato da non si sa bene quali arcane congiunzioni astrali, perché l’artista ha sempre saputo donare un altissimo profilo artistico ad ognuno dei suoi lavori; sono davvero pochi coloro capaci di mantenere per così lungo tempo una qualità così alta grazie ad un blend di folk, musica tradizionale e influenze contemporanee. Dodici dischi (più un live e svariate antologie) in quasi trent’anni sono i numeri di un impegno artistico centellinato con grande accuratezza perché, come ha dichiarato la cantante, non si incidono dischi a comando solo per routine, ma quando l’ispirazione viene in soccorso e l’urgenza di comunicare si fa impellente. I meriti di Mary vanno anche più in là, e riguardano l’aver portato in primo piano, con un vocalismo dalla delicatezza, complessità e profondità emozionale uniche, il lavoro di alcuni straordinari e misconosciuti songwriter irlandesi come Jimmy McCarthy, il compianto Noel Brazil e Mick Hanley. Una qualità sublime che Mary ha sempre coltivato nel corso della sua carriera. Si diceva della lunga l’attesa, ma ne è valsa la pena visto che questo è un disco di grandissimo appeal, tra folk e ballate soft-rock celtiche, e potrebbe (probabilmente) essere considerato il suo capolavoro. La Black continua a esibire il materiale di alcuni autori trascurati ma la novità a livello compositivo è costituita dalle tre canzoni scritte dal figlio Danny O’Reilly, frontman dei Coronas, che rivelano una eccellente sensibilità di scrittura: “The Night Is On Our Side” è un gran pezzo e “Faith In Fate”, impreziosita dall’espressività vocale di Mary, una vera perla. Conosciamo tutti la straordinaria e istintiva capacità della cantante di far “sue” le canzoni che interpreta ed in questa occasione ce ne offre un ulteriore prova, motivata pure da ragioni affettive che la toccano da vicino. Le sue interpretazioni e la profondità emozionale del canto, sono un qualcosa che lascia traccia indelebile nell’animo umano. E Stories From The Steeples non si smentisce, è un lavoro di grandissimo appeal, con brani che hanno una storia da raccontare o un’emozione da esplorare e coprono un ampio range di stili e di tematiche; e la sua voce ha lo stesso charm di sempre. Apertura affidata a un brano dal piglio narrativo, che sembra essere stato partorito dalla penna di Dylan, “Marguerite And The Gambler”, poi Finbar Furey, con il suo banjo, si unisce alla cantante in un incantevole e suggestivo duetto nell’accattivante “Walking With My Love” di cui il leggendario musicista è l’autore. Imelda May, interprete in forte ascesa sulla scena musicale irlandese, e molto apprezzata da Mary, duetta con lei in “Mountains To The Sea”, un brano upbeat scritto da due sconosciuti (per noi) autori australiani, Shane Howard e Neil Murray. E ancora più pregnante e incantevole è “Lighthouse Light” per la presenza della “grande” (come la definisce Mary) Janis Jan. “All The Fine Young Men” è un anthem contro la guerra scritto da Eric Bogle, il cantautore australiano di origine scozzese, “Faith in Fate” è una toccante ballate che parla di una relazione interrotta e sulla speranza di giungere ad una riconciliazione. In chiusura, quale bonus-track, una malinconica versione di “Fifi The Flea” degli Hollies. Uno dei momenti più indovinati del disco è “The Night Is On Our Side” in cui sono presenti tutti e tre i figli di Mary: Conor suona il basso, Danny la chitarra e Róisín canta in duetto con la madre. Va Poi sottolineato il magnifico contributo offerto dai musicisti chiamati in causa, ed una nota di merito particolare per Bill Shanley (chitarra) e Pat Crowley (tastiere ed fisarmonica). Il loro lavoro, assieme alla qualità delle canzoni e l’interpretazione di Mary, impreziosiscono il disco. (Luigi Lozzi)
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