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Killing Joke – S.T. (1980)

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Le ali pesanti del corvo post-punk inglese. O, se preferite, la maschera di ferro del teatro gotico dei primi anni Ottanta. Una muscolosa macchina bionica di acciaio e cavi elettrici che si muove dentro la scena new wave della Londra devastata dal punk con passo marziale e pesante. Killing Joke, l’album, esce a meno di due anni dall’unione artistica di Jaz Coleman, Youth, Geordie e Paul Ferguson e, nonostante le vendite non esaltanti e l’ ostracismo accanito di una grossa fetta del pubblico dark che li accusa di essere fomentatori di simpatie filonaziste e di essere degli esaltati sostenitori della guerra nucleare e di strane idee sulla fine del mondo, si affermerà in assoluto come il disco più influente di tutto il post-punk anglosassone. Non ci fosse stato, probabilmente molte band non sarebbero manco nate. O, qualora fossero nate, avrebbero suonato abbondantemente diverse. Pensate ai Nine Inch Nails, ai Tool, ai Korn, ai Ministry, agli Scorn, ai Godflesh, ai Soundgarden, ai Prong, ai Metallica, ai Napalm Death, ai Test Dept., ai Big Black. Pensate a tutte le volte che una sega elettrica o un martello pneumatico hanno sfondato le casse del vostro stereo. Ecco, tutte quelle volte la vostra casa era infestata dallo spirito dei Killing Joke. La musica di Killing Joke è la liturgia dell’ ecatombe. Martellante e robotica dall’ implacabile Wardance cantata da Jaz con la grazia di un Feldmarschall del Terzo Reich alla fredda agonia metallica del dub apocalittico di $.0.36, dalla violentissima marcia di The Wait alle ossianiche e funeste Requiem e Tomorrow‘s World, dal funky di Bloodsport alle distese di acciaio di Complications la musica di Killing Joke con la sua aria da catastrofe incombente è uno dei manifesti pop più aderenti all’ immagine opprimente dell’ era post-moderna e dei suoi incubi atomici. Una barzelletta che davvero non fa ridere nessuno. (Franco Dimauro)

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