In genere viene licenziato in fretta, Holy Wars. In effetti, viste le premesse inaugurali, Holy Wars delude per la sua compostezza e la sua disciplina. L’anarchia sonora che era stata prerogativa degli esordi della band di San Francisco viene immolata sull’altare di una musica elegante, sofisticata ed accademica. C’è pochissima follia sonora dentro Holy Wars eppure, cià malgrado, non riesco a bocciarlo. So di nuotare contro corrente ma confesso di averlo amato più di un disco agonizzante come Divine. Perché è un disco di canzoni. Un disco di canzoni tristi. Ha il fascino di certe vecchie eleganti signore ormai in decadenza, chiuse dentro ermellini leggermente ingialliti dal tabacco e solcate da rughe profonde che tuttavia non riescono a deturpare la bellezza che è passata su quella stessa pelle in una giovinezza sempre più lontana e inafferrabile. The Waltz allenta delicatamente le imposte lasciando passare piccoli fasci di luce nella camera piena di fiori appassiti e piante avvizzite dal peso della polvere. A dispetto del suo titolo, nessun tempo ternario la deturpa. Procede sdrucciolosa e liquida, come le lacrime. Fortemente ritmica è invece la successiva St-John, sciancata mini-sinfonia dove tutto l’armamentario sonoro dei Tuxedomoon ha modo di trovare i suoi dieci secondi di gloria. Bonjour Tristesse è invece un melanconico volo d’uccello tra i balconi liberty dei viali parigini. Hugging The Earth è una carambola ritmica che ricorda il Peter Gabriel scimmia mutante dei primi album e sulla quale diluviano grumi sintetici di tastiere, clarini e organi ecclesiastici, voci esanimi. In a manner of speaking è un refuso da Theoretically Chinese di Winston Tong, una afflitta composizione dove la voce del cantante giapponese viene doppiata dalla chitarra sbilenca di Luc Van Lieshout e ulteriormente raggelata dalle stalattiti che sgorgano dal flauto polare di Bruce Gedulging. La seconda facciata si apre invece con le sfericità orientali di Some Guys prossime al gusto esotico e dandy dei Japan, tuffandosi quindi nelle atmosfere da strade bagnate della title track e nel flagello meccanico per sovrapposizione sonora di Watching the blood flow per andare a morire poi sulla spiaggia egiziana della mortifera e appannata Egypt. Holy Wars col suo carico di malinconia mitteleuropea è il ritratto di una band che ha trasformato le sue maschere di cuoio e metallo in bigiotteria pregiata adatta ai portagioie dell’Europa borghese e conservatrice, Fronte Ovest del muro di Berlino. Dipingendo il ritratto esclusivo del suo fascino decadente e del suo elegante, inevitabile declino. (Franco Dimauro)
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