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The Hoods – Gangsters & Morticians (1992)

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A volte si nasce nel periodo sbagliato. Chiedetelo a chi è nato nel Medioevo o ai sei milioni di ebrei nati mentre un piccolo nano col baffetto a scopino divorava il mondo. Oppure, se non amate il raccapriccio, chiedetelo agli Hoods. Sulla carta, ma anche in sala prove, una band che avrebbe potuto governare il mondo. Invece su di loro fu stesa una coltre di indifferenza che si trasformò presto in un drappo funebre. Ancora oggi, se digitate il loro nome su Google, riuscirete a malapena a sapere che qualcuno ha venduto il loro disco su Ebay e che qualcuno, lode a Dio, lo ha comprato. Poco altro. Siamo all’alba degli anni Novanta e l’esplosione del fenomeno grunge e del crossover ha fatto spostare gli occhi altrove e la vecchia “scena”, già disgregata e dispersa dalle progressive svolte “dure” di molti leader e dallo scioglimento di alcune icone, si è di fatto disintegrata. A San Diego, due delle band più attive, hanno riposto gli strumenti nelle custodie. Una erano i Tell-Tale Hearts, scesi direttamente dall’Olimpo per diffondere il Verbo sulla terra. L’altra i Trebels, famosi in città per aver lasciato Johnny Marr come un coglione durante il New Sounds Festival, con il jack in mano in attesa di poter jammare sul palco col gruppo. Dai primi viene Mike Stax. Dai secondi tutti gli altri. A loro si aggiunge Ron Swart, finito a San Diego dopo lo scioglimento dei Just Colours, la band olandese dalla cui esplosione partiranno schegge come Kliek e Kek ’66. Finiscono per scoprire di essere rimasti gli unici in città con una copia di Get the Picture sul comodino, mentre tutti gli altri hanno ritirato fuori Physical Graffiti. Il treno è già passato, ma loro decidono di infilarsi nei vagoni lasciati ad arrugginire nei binari morti della Union Station, giù al Kettner Boulevard. L’idea di base è sempre quella di accendere il grill sotto la carne al sangue dei Pretty Things. Ma la temperatura, benché alta, non arriva ai livelli dei forni Tell-Tale Hearts, che è quello che tutti si aspettano da Mike. Gangsters & Morticians suona diverso. Non peggio. Solo, delude le aspettative limitate dei fan dei Tell-Tale Hearts. È un disco più allegro, più alcoolico. Ma anche meglio suonato, a scapito della spontaneità. Gangsters & Morticians manca dell’animalesca furia delle precedenti bands di Mike Stax, dove l’errore era paradossalmente funzionale al risultato, sembra un’Out of our heads suonato dai turnisti della Stax. Morde. Ma come una tigre da circo. Sai già che aprirà le fauci a un piccolo impercettibile movimento di sopracciglia del suo domatore, negandoti il brivido del sangue, dello scatto felino e improvviso, della carne dilaniata. E puoi guardarla mentre mangi i tuoi popcorn al caramello, senza rischiare di dare di stomaco. (Franco Dimauro)

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