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Roma: il live review degli Spain

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Roma, 21.05.2012 – Il passaggio nella capitale degli Spain di Josh Haden si è consumato quasi del tutto ignorato in una serata di pioggia battente, e al cospetto di uno sparuto nugolo (appena una cinquantina) di spettatori, in uno dei locali – l’Init Club – più accreditati nell’alimentare la movida romana notturna nella zona del Pigneto. Eppure la formazione di stanza a Los Angeles, fondata da Josh Haden (figlio del jazzista Charlie), ha dalla sua un seguito da cult-band, fin da quando nel 1995 aveva esordito con “The Blue Moods Of Spain” (su etichetta Restless), un gioiellino accolto come una delle più belle novità dell’anno, imponendosi immediatamente all’attenzione generale. Inoltre, dopo un’interruzione di una decina d’anni (e soli tre album all’attivo) per riordinare le idee (in realtà per non essere riusciti a sfondare come credevano d’essere in grado), proprio di recente sono tornati ad incidere un disco, e lo hanno fatto per una delle etichette alternative più attente e sollecite nel dare spazio a proposte innovative di qualità, la tedesca Glitterhouse. Il concerto (per pochi intimi) tenuto ha Roma (inizio puntuale alle 22:30) è stato suddiviso in due set; nel primo è stato proposto in sequenza integrale “The Blue Moods Of Spain” mentre nel secondo, dopo un’interruzione di una ventina di minuti, ha trovato spazio il nuovissimo disco “The Soul Of Spain”. In effetti la prima parte, pur delineando le caratteristiche riconoscibili della band che ne hanno fatto la paladina dello slowcore movement – lo stile ipnotico e il vocalismo onirico -, è risultata piuttosto monocorde se si eccettua la performance di un hit come il gospel “Spiritual“; un brano dal crescendo musicale (certamente imparentata con la “Hallelujah” di Leonard Cohen e/o Jeff Buckley) che Johnny Cash ha fatto suo (per “Unchained” del ’96) ed è stato pure preso in prestito dai Soulsavers, dai Red Hot Chili Peppers in concerto, e perfino da papà Charlie e Pat Metheny in “Beyond The Missouri Sky”. Molto meglio – direi – la seconda parte nella quale gli Spain hanno sprigionato maggiore energia e una più corposa varietà armonica e padronanza dei mezzi espressivi: cartina tornasole della indubbia bontà della nuova strada intrapresa e del rinnovato vigore dispensato. Trovano posto anche brevi ricognizioni del secondo e terzo album, “She Haunts My Dreams” del ‘99 e “I Believe” del 2001. Haden, ostinatamente, dopo lo scioglimento del 2001 ha rimesso in piedi la band nel 2007 con nuovi membri (Randy Kirk, tastiere e chitarra, Matt Mayhall, batteria, Tom Gladders, chitarra, successivamente sostituito nel 2009 alla chitarra da Daniel Brummel) ma prima di approdare all’incisione di un nuovo album ha deciso di concedersi un lungo periodo di acclimatamento in tour in giro per gli States e l’Europa. Ed è proprio il secondo set proposto nella piovosa serata romana a confermare la lungimiranza di una simile scelta. Josh suona il basso come il padre, e canta, pur tuttavia la sua musica non ha nulla in comune con quella del padre: è suggestiva, malinconica. La forma è elegante, le canzoni up-tempo, dal morbido mood elettrico e folk rock, evocano scenari desolati tipici delle atmosfere riflessive e intime di certo rock alternativo; si coglie pure qualche vaga contaminazione jazz e qualche più evidente venatura psichedelica. Peccato per coloro che non c’erano; si son persi qualcosa di importante. (Luigi Lozzi)

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