Cinque anni dopo l’insuccesso de “I cancelli del cielo”, capolavoro “maledetto”, epica e struggente requisitoria sul mito americano che aveva determinato il fallimento finanziario della United Artist, a Michael Cimino viene concessa l’opportinità di realizzare un altro film. Dino De Laurentiis – ancora una volta per conto della MGM/United Artist & Co – gli fornisce non solo un supporto economico ma anche un aiuto di tipo artistico convincendo questa volta l’autore ad alcuni tagli che, probabilmente, determineranno il successo di un anomalo action-mafia-movie: “L’anno del Dragone”, in onda stasera su IRIS alle 21,05, scritto a quattro mani con Oliver Stone ed ispirato ad un romanzo di Robert Daley. Il pluridecorato capitano Stanley White, reduce dalla guerra del Vietnam, ha ricevuto dal dipartimento di polizia di New York il difficile compito di gestire gli apparenti equilibri tra le famiglie mafiose di Chinatown e, soprattutto, di impedire che la criminalità possa, comunque, prendere il sopravvento sulla vita stessa del quartiere rendendone impossibile uno svolgimento tranquillo. Al contrario, sarà il nuovo capo della Triade, Joey Tai, a scatenare una vera e propria “guerra” contro la polizia per continuare indisturbato le proprie attività criminali di spaccio di droga e di estorsione in uno scontro parossistico – perchè delineato nel perimetro di una lotta individuale – con il poliziotto. Cimino infonde nell’opera un furore nevrile che si riflette sulla struttura narrativa traboccante di tensione e di angoscia assemblando un cast di grande efficacia. Mickey Rourke dà spessore alla nevrosi incontrollata del capitano White, protagonista di una lotta personale (come spesso accade nei film di Cimino) che ignora il contesto in cui si svolge e che è feroce perchè nasce solo dalla bramosia di potere dei due contendenti. Lo svolgimento del plot è serrato e convulso – si diceva in precedenza – un’apnea di violenza, soprusi ed inganni in cui il male si confonde col bene fino a prenderne il sopravvento come nella migliore tradizione del noir a cui si deve ascrivere, indubitabilmente, questo film. La sequenza finale è la gemma dell’opera: un marchio di fabbrica del regista perchè magniloquente e – al contempo – intollerabile, dilatata fino all’inverosimile, dal montaggio ipercinetico, immersa nel chiarore debole e discontinuo dei controluce che squarciano il nero della notte. Un pezzo di bravura nel più puro stile Cimino: nel feroce duello tra il Rourke/White ed il giovane gangster cinese la furia dilaga ossessiva ed asfissiante, metafora riassuntiva, in un certo senso, del “cinema” di questo autore teso alla rappresentazione di un’America multirazziale che solo in apparenza vuole assimilare pacificamente tutte le sue composite etnie ma che, in realtà, avendo tra i suoi miti fondativi quello della “frontiera” quale soglia da varcare sempre e comuque, replica automaticamente gli schemi della prevaricazione e della conquista. Un film elegante ma feroce, tecnicamente perfetto eppure irrisolto che, nonostante il favore del pubblico, non servì a raddrizzare la carriera di questo magnifico e sfortunato autore. (Nicola Pice)
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