Il secondo disco solista di Mr. Ridgway si apre maestoso e cinematografico, su un arrangiamento d’archi di Van Dyke Parks. Basta socchiudere gli occhi e sembra di scorrere i titoli di testa di un blockbuster fantastico. Un’introduzione che tradisce ancora una volta l’amore del cantautore americano per la musica da film, sebbene dietro la macchina da presa non ci sia più Sergio Leone, che, fosca coincidenza, scomparirà realmente proprio un mese dopo l’uscita di Mosquitos, bruciato da un infarto. Le suggestioni western cominciano lentamente a sfumare e Stan a trasformarsi in un cantautore confidenziale. Uno con tante storie da raccontare. Piene zeppe di personaggi inseguiti dal proprio destino, di luci intermittenti e di auto in fuga. Un intero disco da sfogliare. Canzoni modellate da Ridgway nel suo appartamento nella zona Nord di Hollywood e portate poi in dono agli amici che ne avrebbero deciso i colori: Tori Amos, Pietra Wexstun, Roger Kleier, Steve Reid, Jim Lang, Eric Williams, Steve Berlin, Peter White, Bruce, Walt e Steve Fowler, Joseph Berardi, Phil Kenzie, Marc Ribot, Joe Ramirez, Bernard Hall. Un dulcimer, un clarinetto, una chitarra fantasma, un tamburo, un ukulele, un sassofono, un trombone, un sintetizzatore, delle congas, un mandolino, un coro, una drum machine, fino a costruire un disco carico di stucchi come Mosquitos che a qualcuno con un diverso cognome non avremmo forse perdonato, così pieno di chincaglieria, ninnoli e cianfrusaglie che appena ti muovi cade giù qualcosa e per rimetterla a posto devi chiedere per forza al padrone di casa, stavolta più cerimonioso e cordiale del solito, accucciato nella penombra che avvolge una buona fetta dell’appartamento (Lonely Town, A mission in life, Can‘t complain), placidamente sprofondato nel suo divano sudamericano come un Willy DeVille della periferia Nord (Calling out to Carol, Dogs, Newspapers) dopo essere inciampato tra i rifiuti del suo penultimo pasto (Goin’ Southbound che si apre con lo stesso cavaturaccioli di Camouflage, la bellissima Peg and Pete and Me sporcata dalla fantastica armonica morriconiana dell’ autore, la banalottaThe Last Honest Man che pare un avanzo da Saint Julian di Julian Cope, NdLYS). Mosquitos, primo disco di Stan per la Geffen, torna ora in versione “espansa” assieme alle Blue Spook e The man from nowhere special (una roba che deve essere piaciuta un casino a Barry Adamson, costruendo attorno a quell’ idea la sua carriera solista) che accompagnarono allora la versione 12” di Lonely Town, alle due versioni live di Drive she said e Can‘t stop the show accluse all’ epoca sul padellone di Calling out to Carol e a due versioni “casalinghe” di Dogs e Goin’ Southbound registrate in tutta solitudine da Mr. Ridgway, assediato dalle zanzare nella sua casa di Hollywood. Cantacene ancora, Stan. (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 26 Luglio 2012