La recente pubblicazione – in pregevoli ‘Deluxe Edition’ da parte dell’inglese Charly – di tre dei quattro album della loro discografia ha riportato l’attenzione degli appassionati su una delle formazioni seminali più importanti (e, in parte, trascurata: forse la più sconosciuta e sottovalutata band di tutti i tempi) della scena psichedelica degli anni Sessanta, i 13th Floor Elevators. L’iconica band texana fondata nel 1965, installatasi nella baia di San Francisco ma proveniente da Austin, cui va riconosciuto d’essere stata tra le più sollecite propugnatrici e pioniere del rock psichedelico, a oltre quarant’anni dal suo momento di maggiore grazia, mantiene intatta la bontà del proprio verbo musicale. Capace ancora una volta di porsi come ispiratrice per gruppi emergenti in ambito psichedelico, con reminiscenze di quel ‘bluesier cosmic sound’ che li colloca su un piedistallo degnamente al fianco di formazioni quali Grateful Dead, Moby Grape e Blue Cheer, ma anche di Blues Magoos, Chocolate Watchband, Velvet Underground o perfino i Pink Floyd. La loro storia ha avuto inizio quando Tommy Hall coagulava in una sola band tre gruppi all’epoca poco noti: i Conqueroo, gli Spades, e i Lingsmen. La prima apparizione ufficiale è datata 15 gennaio 1966, a Houston, e subito il gruppo raccoglieva reazioni positivi, e quello stesso anno si esibiva in un evento benefit assieme a Janis Joplin e altri. Il nome stesso di 13th Floor Elevators pare fosse stato coniato al culmine di una serata in compagnia tra i membri fondatori con assunzione di LSD in quantità industriale. La carriera è stata breve perché presto sulle capacità creative prendevano il sopravvento l’abuso di stupefacenti, i disturbi mentali e qualche problema con la legge ad esso conseguenti, elementi che portavano ben presto alla dismissione prematura ed allo scioglimento definitivo. Il nucleo iniziale si formava intorno al chitarrista Roky Erickson (proveniente dagli Spades) e a Tommy Hall, la vera mente del gruppo, con esperienze che esulavano dal semplice approccio musicale, autore di testi complessi e cerebrali, inventore tra l’altro di un particolare suono, il jug elettrico, divenuto ben presto marchio distintivo a corredo della musica dei 13th Floor Elevators. Con loro pure il chitarrista Stacy Sutherland. Il jug, per la cronaca, è un strumento di origine orientale a forma di brocca, con un microfono all’imboccatura su cui soffiare per produrre vibrazioni che si trasformano in suoni particolari; ne facevano uso, ricordo, a suo tempo anche i Mungo Jerry. L’esordio discografico avveniva con “The Psychedelic Sound Of” nella primavera del ’66, nel pieno dell’affermazione di quel sound lisergico che all’epoca ha fatto tanto proseliti, ma l’album si distingueva subito per essere uno dei più significativi nel suo genere. Un disco intrigante fin da quella sua sgargiante e colorata copertina. Il brano che immediatamente li rendeva noti alle platee era il primo innovativo singolo estratto “You’re Gonna Miss Me”, veemente e viscerale, intriso tanto di sonorità messicane quanto di ritmi assordanti (e presente anche nel film “Alta fedeltà” di Stephen Frears tratto dall’omonimo libro di Nick Hornby). In verità questo brano era già stato registrato in una prima versione l’anno prima da Rocky Erickson al tempo della militanza negli Spades. Ma sono ben significative anche l’oscura ”Roller Coaster” con una prima parte lenta ed ipnotica ed un’altra più sostenuta ed incisiva, “Reverberation” frutto di un trip acido ma d’accattivante riff chitarristico con ottima sezione ritmica, “Fire Engine” è un rock’n’roll acido ed esplosivo, “Splash”, ballata acida e intimista nella “mistica dell’LSD”, che nella loro eterogeneità danno fascino all’insieme. Il pezzo – come pure gli altri singoli estratti – balzò in cima alle ‘charts’. E gli Elevators vennero subito indicati come uno tra i più grandi gruppi psichedelici. Effetti di riverbero, elementi fuzztone ed eco su un tappeto di derivazione folk-rock, senza disdegnare il boogie e l’improvvisazione sono le caratteristiche principali del sound archetipico emanato dall’album. Nel secondo più maturo album, dal titolo enigmatico “Easter Everywhere” (in realtà un omaggio al pensiero filosofico che ispirava la band) del ’67, si segnalano brani come “She Lives In A Time Of Her Own”, “Postures” e “Skip Inside This House” (lunga ballata lisergica ed elettrica di 8 minuti, assai prossima alle suite strumentali dei Quicksilver), i frenetici “She Lives” e “Earthquake”, ”I Had To Tell You” di matrice folk e prossima ai Jefferson Airplane più lirici, segnati da una ben definita propensioni verso il misticismo d’Oriente. Nuova la sezione ritmica che è composta da Danny Galindo (basso) e Danny Thomas (batteria). In un primo momento il disco non ebbe successo ma in seguito sarebbe stato riconosciuto come il migliore del gruppo. Vi è anche una trasfigurata e rarefatta cover in forma di psychedelic blues della dylaniana “(It’s All Over Now) Baby Blue”. Alle vicende musicali – purtroppo – si andavano sommando quelle personali di Hall, che abbandonava il gruppo, e dello ‘sciamano’ Erickson, ricoverato in un ospedale psichiatrico per i danni procuratigli – sotto forma di instabilità psichica e diffusa schizofrenia – dall’uso di droghe, più i vari arresti per possesso di marijuana di quasi tutti i componenti del gruppo. Al punto che il terzo pur buon disco, caratterizzato da alcuni originali sperimentalismi, “Bull Of The Woods” del 1968, dal sound più marcatamente rock, blues e funk, veniva registrato senza i due elementi più rappresentativi e la line-up ridotta ai soli Danny Thomas, Stacy Sutherland e Ronnie Leatherman. Seguiva, inevitabile, lo scioglimento e ma anche la consacrazione di critica e fan allo status di cult-band, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta in pieno revival psichedelico e culto per il ’garage’. Una fama che ancora oggi li accompagna. Successivamente Roky Erickson pubblicava un libro di poesie una volta uscito dal manicomio nel ’72 e numerosi album solisti cupi e inquietanti fino al 1995, purtroppo accompagnato sempre dagli altalenanti problemi mentali che ne hanno frenato una migliore e più qualitativa presenza sulla scena. La formazione iniziale era composta da Roky Erickson (voce e chitarra), Stacy Sutherland (chitarra), Benny Thurman (basso), John Ike Walton (batteria) e Tommy Hall (jug elettrico); altri elementi che si sono avvicendati nella storia dei 13th Floor Elevators sono stati Ronnie Leatherman (basso), Danny Galindo (basso), Danny Thomas (batteria), Clementine Hall (testi) e Duke Davis (basso). Ognuno dei tre album citati – che ci riconducono al fantastico sound degli anni ’60 – viene riproposto in versione ‘Deluxe Edition’ double-CD rimasterizzate (dall’originario produttore Walt Andrus) su etichetta Charly/Snapper, con versione originale mono (relativa all’originaria stampa su vinile) e versione mix stereo, entrambe proposte in eleganti digi-book a tiratura limitata e booklet di 16 pagine ricco di note, memorabilia, copertine e poster dei concerti. A partire dal primo mitico gioiello “The Psychedelic Sound Of 13th Floor Elevators” del 1967, passando per “Easter Everywhere“, probabilmente la loro cosa migliore in assoluto, e approdare a “Bull Of The Woods” del 1969 dopo un “Live” interlocutorio l’anno prima; che non è un disco dal vivo come si potrebbe ritenere ma un assemblaggio di demo e registrazioni scartate in precedenza, su cui sono stati abilmente aggiunti in sala di registrazione applausi fittizi. Va sottolineato a beneficio dei più tenaci dei fan della band che la Charly/Snapper ha pure assemblato un prezioso ed esaustivo boxset di 10 CD, “Sign Of The Three-Eyed Men”, in tiratura limitatissima a sole 1.000 copie come pure “Music of the Spheres”, box celebrativo a tiratura limitata (e numerata) degli album in vinile dei 13th Floor Elevators: duplice copia di ogni disco con uno in versione mono originale e l’altro in versione rimasterizzata. (Luigi Lozzi)
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