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Speciale Ray Charles: la vita, la musica, il film.

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RAY CHARLES: GLI ANNI SEMINALI (1952-1961) di Luigi Lozzi

Uno dei più bei biopic mai realizzati, e non solo perché l’immedesimazione del suo interprete, Jamie Foxx, con il personaggio narrato è pressoché perfetta, è “Ray” di Taylor Hackford, dedicato alla vita di Ray Charles Robinson (Albany, 23 settembre 1930 – Beverly Hills, 10 giugno 2004), cieco dall’età di sette anni a causa di un glaucoma. Dicevo ‘non solo’ per il fatto che quella che è stata la vicenda prettamente musicale relativa a “The Genius”, il climax vintage di certa industria pionieristica contrapposta ad un’altra più prosaicamente votata al business, è delineata come non mai; è utile la visione del film a complemento di questo articolo. Il Ray Charles degli anni Atlantic è un artista immenso nel definire da protagonista assoluto le coordinate della black music tra jazz e rhythm & blues nei ’50 e radicarle nel mainstream, quello dei ’70, poi, quando riesce a strappare un contratto multimilionario, è esemplare nel dettare le linee dell’affermazione, soprattutto economica, degli artisti di colore. Intanto, per comprendere meglio, va detto che nonostante la sua grandezza Ray arrivò, in modo definitivo, alle platee bianche solo dopo aver (dolorosamente, ma necessariamente) abbandonato la Atlantic. La pubblicazione, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, di due mini cofanetti di Ray Charles, uno relativo agli anni Atlantic e l’altro a quelli ABC, consente ad appassionati e studiosi di disporre di un corpo musicale davvero unico, singolare ed esaustivo per comprendere meglio un passaggio epocale della black music – di cui Ray è stato un protagonista fondamentale – da una fase di clausura nei ghetti dell’ascolto ‘race’, dedicati esclusivamente alla gente di colore, verso le grandi platee ‘bianche’ di consumatori. Il primo si compone di sette CD mentre il second di tre CD. In “Pure Genius: The Complete Atlantic Recordings 1952-1959” (Atlantic / Rhino / Warner Music), box assai spartano ma anche oltremodo economico, trovano spazio in 6 CD i 119 brani (inclusi alcuni prodotti per David “Fathead” Newman e due collaborazioni con Milt Jackson del Modern Jazz Quartet), proposti in ordine cronologico per oltre nove ore complessive di durata, che Ray Charles incise e pubblicò per la Atlantic di Ahmet Ertegun, in più c’è un disco supplementare, un piccolo tesoro, (letteralmente) infarcito di materiale inedito. Inutile sottolineare quanto sia incomparabilmente prezioso il corpo delle registrazioni qui contemplate (ed eloquentemente assemblate), se viste nell’ambito dell’intera storia della musica afro-americana. È tra queste registrazioni che ha preso vita la soul music e non va dimenticato che questo è stato il periodo più creativo per questa leggenda della musica americana, ‘simply The Genius’. Ray è stato tra i primi ad entrare nella Rock and Roll Hall of Fame nell’86. Il titolo di ‘The Genius’ gli è stato appioppato formalmente all’uscita nel ’59 dell’album “The Genius of Ray Charles”, quando non aveva ancora trent’anni. Ahmet Ertegün, il suo scopritore, è stato produttore discografico turco (Istanbul, 31 luglio 1923 – New York, 14 dicembre 2006) e fondatore (assieme al fratello Nesuhi) della Atlantic Records, storica etichetta di jazz e rhythm & blues (i primi successi con artisti come Joe Turner, Ruth Brown, The Clovers, The Drifters), ma anche label che nei Settanta ha lanciato gruppi come i Led Zeppelin e Crosby, Stills, Nash & Young. Merito precipuo dei fratelli Ertegün quello di aver introdotto elementi di provenienza jazz nel mondo dell’R&B e soprattutto di aver trasformato quest’ultimo in uno dei generi più importanti della scena musicale. Queste sono le parole con cui Ahmet Ertgun descrive, nelle note introduttive al cofanetto, il primo impatto avuto con Ray: «Nel 1952, quando Miriam Bienstock mi fece ascoltare uno sconosciuto disco di R&B intitolato “Baby Let Me Hold Your Hand” di un cantante che si chiamava Ray Charles, virtualmente sconosciuto al grande pubblico e a chiunque io conoscessi , a parte Miriam e suo marito, Herb Abramson, che era tra i miei originali partner all’Atlantic Records. Dire che questi mi ha totalmente rapito sarebbe un eufemismo. Io fui assolutamente stordito dallo stile, dall’approccio vocale e da quello pianistico di questo artista che non avevo mai sentito precedentemente. Cominciai a parlare con entusiasmo di lui a chiunque mi girasse intorno. Probabilmente le mie sperticate lodi di Ray Charles raggiunsero le orecchie di Billy Shaw, un piccolo agente di R&B, che provava a far lavorare gli artisti che erano sotto contratto per la Swing Time Records, proprio l’etichetta di Los Angeles per la quale era sotto contratto allora Ray Charles. Billy Shaw, che rimase meravigliato dal mio tremendo entusiasmo per questo giovane sconosciuto, mi chiese se pensavo di poter incidere un hit con lui. Gli dissi che di sicuro pensavo a quello, così qualche giorno più tardi Shaw mi chiamò per dirmi che aveva parlato con Jack Lauderdale, il proprietario della Swing Time, il quale era disposto a vendere il contratto di Ray Charles. Ci accordammo per 2,500 $, una cifra irrilevante all’epoca, e così ebbe inizio la mia odissea con questo favoloso artista». Con Ertegün Ray instaurò un rapporto di collaborazione simbiotica meraviglioso, che ha prodotto frutti preziosi per l’intero movimento della musica ‘black’. L’artista aveva solo 24 anni quando il suo primo hit, “It Should’ve Been Me”, nel ’54 scalava le classifiche di R&B, ma quello che l’artista fece nel ’55 con “I’ve Got A Woman”, il suo primo R&B #1, ha dell’incredibile, mescolare il sacro al profano, gli spiritual alla musica secolare, un qualcosa di totalmente nuovo, con una pulsione sensuale ed erotica prima sconosciuta. Una concezione innovativa e seminale della musica che ha fatto proseliti. Spesso poi si dimentica che Ray Charles (che ha praticato anche i territori del country, del rock & roll e del pop con raffinatezza e competenza uniche), considerato uno dei pionieri della musica soul, fu anche un grande jazzista, aveva grande (ma sottovalutato) senso dello swing, in un’epoca in cui il jazz era musica che serviva sovente a sbancare il lunario per i musicisti sempre alla ricerca di qualche pur piccolo cachet per suonare in piccoli locali, e che proprio in ambito Atlantic l’artista ha inciso alcuni significativi album di jazz e partecipato ad importanti festival. Lo stesso gruppo che l’accompagnava aveva una sostanziale struttura jazz anche se suonava un altro tipo di musica. E nel cofanetto sono riportate testimonianze del suo lavoro con il band leader Fathead Newman, sassofonista al cui fianco lavorò per un periodo, e con Milt Jackson. Il boom soul-jazz dei primi anni ’60 deve molto a ‘Brother Ray’ in fatto di esempi cui attingere; prendete per esempio “Drown in My Own Tears” in cui Charles per la prima volta utilizzava un backing vocal group, pratica che poi è diventata d’uso abituale nella grammatica del soul. Accanto a capolavori assoluti quali “I’ve Got a Woman”, “Drown in My Own Tears” e “What’d I Say” non dimenticate di prestare la giusta attenzione a brani come “Losing Hand”, “Blackjack”, “Lonely Avenue”, “What Kind Of Man Are You”, “Don’t You Know”, “Am I Blue”, “Come Rain Or Come Shine”, “Leave My Woman Alone”, “Night Time Is (The Right Time)”, “I Believe To My Soul”, “The Man I Love”, pezzi fondamentali non solo per la carriera di Ray, tutti qui inclusi. Booklet di 82 pagine con esaurienti note redatte da David Ritz (”Questi sono gli storici anni della sua esplosione creativa, il tempo in cui lui si è reinventato come musicista rivoluzionario; brani che vivranno in eterno”), immagini dell’artista impegnato dal vivo e negli studi di registrazione, note sulle session, memorabilia e cover dei suoi dischi, liner notes, dettagliata track-list di ogni album. Rispetto all’edizione americana, uscita nel 2005 e dal packaging decisamente più “importante” (scatola con riproduzione di un giradischi vintage), manca il DVD contenente l’esibizione di Ray Newport Jazz Festival del ’60. Il triplo CD ”The Complete ABC Recordings 1959-1961” (ABC / LeChant du Monde / Ducale Music) contiene invece la ‘collection’ completa delle registrazioni effettuate da ‘The Genius’, dopo aver firmato un contratto multimilionario, per ABC-Paramount e Impulse! Records, nell’arco di tempo che va dall’abbandono della Atlantic Records nel ’59 al 1961. Ray avrebbe dovuto in realtà rinnovare tranquillamente il suo contratto con la Atlantic, con quella semplicità di comportamento che era propria di tutti gli artisti di colore, incuranti degli aspetti economici, che consideravano già un grande successo poter svolgere la propria attività artistica in modo rassicurante. Ma Ray – cui non era mai mancato il fiuto per gli affari – pensava in grande, e credeva di poter raggiungere un pubblico più ampio solo cambiando casa discografica. Una come la ABC-Paramount, una nuova major che aveva lanciato idoli per teenager come Paul Anka e Frankie Avalon. A Charles venne assicurato un contratto senza precedenti, che includeva la proprietà dei suoi master dopo un quinquennio. Si trattò di una fase questa particolarmente importante e foriera di grandi successi sotto il profilo prettamente artistico per Ray, dopo anni di successi R&B con l’Atlantic Records, con la quale alfine aveva raggiunto l’ambito (e agognato) mercato dei bianchi con l’hit “What’d I Say”, la più semplice e fondamentale canzone della sua carriera, ma qui raggiunse livelli ancora più alti di popolarità. Dal momento in cui il cantante pubblicava il suo primo singolo con la nuova etichetta, nel gennaio del 1960, Ray divenne una star. Il cantante/pianista incise evergreen memorabili ed indimenticabili come “Georgia On My Mind”, “Hit the Road, Jack” e “Unchain My Heart”, grazie ai quali raggiunse una considerevole popolarità. “Georgia On My Mind”, registrato nel ’60 e incluso nell’album “The Genius Hits the Road “ era un brano già noto, risalente al 1930 (scritta da Stuart Gorrell e Hoagy Carmichael), ma fu la versione di Ray a renderla immortale e standard interpretativo a memoria futura per qualsiasi cantante avesse voglia di cimentarsi con esso. Il singolo raggiunse nel novembre 1960 la posizione #1 della U.S. Billboard Hot 100. I tre CD del mini-box sono stati tutti sottoposti a lavoro di rimasterizzazione e i 56 pezzi inclusi fanno parte degli album “Genius Hits the Road” (1960), “Dedicated to You” (1961), “Genius + Soul = Jazz” (1961), “Ray Charles & Betty Carter” (1961) e “Greatest Hits”. Il booklet di quaranta pagine (proposto in inglese e francese), incluso nella confezione, è ricco di informazioni, di immagini degli album e dei singoli di Ray, di memorabilia, rari documenti e quant’altro possa servire a rendere (note dettagliate su discografia, incisioni e numeri di catalogo) ancora più significativa questa importante emissione discografica. Le cose migliori? Per il 1959 “Them That Got”, “Who You Gonna Love”, “My Baby! (I Love Her, Yes I Do)”, per il 1960 “I Wonder”, “Sticks and Stones”, “Worried Life Blues”, per il 1961 “Unchain My Heart”, “Hit the Road Jack”, “The Danger Zone”, “But on the Other Hand Baby”. Va detto che l’antologia in realtà avrebbe potuto spingersi più avanti, almeno fino al 1962, anno in cui Ray incideva “Modern Sounds in Country and Western Music”, uno delle sue perle più celebrate; ma il fatto è che per ragioni di copyright (in Europa i diritti per discografici scadono dopo 50 anni) questo non è stato possibile, e Le Chant du Monde (della Harmonia Mundi) è etichetta rinomata ma non la titolare primaria dei diritti di sfruttamento. Due raccolte comunque che nella loro completezza possono davvero fregiarsi dell’appellativo di ‘Definitive’ per quanto concerne il periodo che va dal 1952, anno della firma del contratto con la Atlantic, al 1961, al completamento dell’esperienza con la ABC.

RAY: BIOPIC di “THE GENIUS” di Luigi Lozzi
La vita drammatica e i trionfi di una leggenda della musica americana, Ray Charles, portati sul grande schermo dal regista Taylor Hackford e dall’attore Jamie Foxx protagonista di una indimenticabile interpretazione.

Il genere biopic è sempre difficile da portare sul grande schermo e le cose si complicano ancora di più quando si tratta di raccontare le vicende di musicisti e cantanti contemporanei: vuoi per la difficoltà di far aderire adeguatamente l’interprete ad una figura che solitamente è ben salda nell’immaginario collettivo, vuoi per lo stile narrativo che si adotta e che talvolta può risultare eccessivamente agiografico ed altre sconfinare troppo nel fantasioso. E’ questa la ragione per cui ad oggi ancora non si sono realizzati i film (da lungo tempo concepiti) su artisti come Hendrix, Janis Joplin o Otis Redding. Eppure la storia recente del cinema è costellata di esempi più o meno riusciti (corredati da qualche inevitabile strascico di critiche) e ci piace ricordare tra gli altri “La Signora del Blues” (di Sidney J. Furie) dedicato a Billie Holiday, “The Doors” di Oliver Stone, lo splendido “Bird” di Clint Eastwood in omaggio a Charlie Parker, “La Bamba” (di Luis Valdez) sulla giovane vita spezzata di Richie Valens, “Great Ball Of Fire” (di Jim McBride) su Jerry Lee Lewis, “Tina What’s Love Got To Do With It” di Brian Gibson sulla Turner, e perché no, anche “Amadeus” di Milos Forman, sulla prima grande star della musica, Mozart. Ma quando le cose funzionano allora il genere piace molto al pubblico ed alla critica perché è didascalico quanto basta per suscitare l’interesse degli appassionati nella ricostruzione delle vicende musicali e degli ambienti, nell’esplicitazione di situazioni e/o personaggi che appartengono al bagaglio conoscitivo di molti. Quello che a mio avviso rende “Ray”, biopic sulla vita di Ray Charles, tra i più riusciti è anzitutto la perfetta identificazione che Jamie Foxx (premiato non a caso con l’Oscar per la Migliore Interpretazione Maschile; la voce nelle esibizioni è quella delle registrazioni originali di Ray) instaura con il personaggio – ricordiamo che lo stesso Charles è stato consulente del film sulla sua vita, affiancando l’attore in un utilissimo training, ed è morto qualche tempo prima (il 10 giugno 2004 a 74 anni) che questi uscisse sugli schermi americani -; la sua somiglianza con Ray è impressionante, vederlo muoversi con gli stessi gesti sincopati è qualcosa che difficilmente dimenticheremo. Un altro elemento a favore è che la figura di “The Genius” (così soprannominato per lo spessore artistico) non ne esce beatificata, anzi vengono sottolineati, al di là dello straordinario talento artistico, alcuni aspetti non proprio edificanti della sua vita; come il ‘tradimento’ per denaro consumato ai danni della Atlantic, l’etichetta che lo aveva scoperto e lanciato alla fine dei ‘50, e quello reiterato (parliamo di ‘corna’) nei confronti della moglie (numerose amanti e dodici figli sparsi un pò dappertutto). Lo stesso Ray Charles aveva approvato il progetto: “Non voglio che mi raccontiate come un uomo rinsavito – diceva -, io non sono mai stato un santo. Restituitemi l’anima, ma raccontate pure tutte le cosacce che ho fatto e anche il mio sugar, l’eroina. Però raccontate anche che ho fatto costruire asili e scuole di musica per i ragazzi poveri che venivano respinti sugli autobus per il colore della pelle: c’è ancora tanto razzismo”. Una personalità, la sua, controversa, geniale ma piena di contraddizioni, il tradimento costante della moglie e la dipendenza dall’eroina, i guai con la giustizia ed il pesante senso di colpa per la morte del fratellino, annegato sotto i suoi occhi senza che potesse far nulla; e Ray ci viene raccontato come in un lungo viaggio, dalla cecità che lo colpisce all’età di sette anni (per un glaucoma) al momento in cui decide di recarsi (ha soli 17 anni, nero e povero) a Seattle a bordo di un Greyhound senza sapere di portare addosso i germi che daranno un’importante svolta alla black music con quel mix di soul, rhythm’n’blues, jazz, gospel e country. Le sua canzoni appartengono oramai alla storia della musica.

RAY di Taylor Hackford (USA, 2004)

L’aspetto musicale riveste nel film un ruolo prioritario così che, di conseguenza, viene dato il giusto rilievo a questo contesto, la cui magnificenza è ancor più apprezzabile nel DTS-HD Master Audio 5.1 originale. Non meno vivido e incisivo (nel dettaglio e nella perfezione degli incarnati, nella ricchezza dei colori) è il trasferimento in High-Def, che consente di ‘disegnare’ gli ambienti e i volti e la musica (attraverso i musicisti e gli strumenti, e chi si muove ‘on stage’, fino al fumo dentro i locali) con quell’assoluta efficacia che merita la vostra attenzione. In alcuni frangenti sembra di essere proprio negli studi di registrazione (dove il personaggio dà forma alla sua musica) a diretto contatto con tecnici, artisti e musicisti. Tra gli extra – omaggio-tributo alla grandezza di Charles – troviamo 14 scene cancellate (mezz’ora in tutto) dalla versione cinematografica, live performance di Ray, un lungo speciale sulla preparazione di Foxx per entrare nel personaggio – con la consulenza dello stesso Ray Charles, ancora in vita – e un ‘Dietro le Quinte’ commentato dal regista. (Luigi Lozzi)

RAY – La colonna sonora

Contemporaneamente all’uscita del film sul grande schermo è stata pubblicata la colonna sonora, poi, qualche mese dopo è uscito “More Music from Ray” (Rhino/WEA) con l’integrazione di altri brani che non hanno trovato spazio nel primo CD. “Ray – O.S.T.” (Rhino/WEA), come il film, ripercorre le tappe principali della carriera dell’artista – vero apripista della musica soul, molti fanno risalire la nascita del genere direttamente al 1954, anno di pubblicazione dello straordinario singolo dell’Atlantic Records “I’ve Got Woman” – suggerendo pure una chiave di lettura psicanalitica della sua determinazione ad affermarsi legata ad un tragico episodio dell’infanzia. Gli inizi difficili, l’incontro e l’amicizia con Quincy Jones, l’approdo alla Atlantic con le figure di Ahmet Ertegun e Jerry Wexler ad affinarne lo stile tra jazz, rhythm’n’blues e soul music, il repentino voltafaccia che condusse ‘The Genius’ ad accettare il faraonico contratto per la ABC e con esso l’inizio del controllo totale della propria produzione, la parentesi country di “I Can’t Stop Loving You”. Ed in mezzo le controverse relazioni con le sue donne, le persone che hanno speculato sulla sua cecità, i problemi con l’eroina. Le tappe principali della sua vita scandite dai brani di questo disco della colonna sonora: 17 brani (i classici) tratti dai suoi dischi più significativi (”Night Time Is The Right Time”, “Talkin’ Bout You”, “This Little Girl of Mine”, “Georgia on My Mind”, “Hit the Road Jack”, “Hallelujah I Love Her So”, “What’d I Say”). Materiale già edito in abbondanza ma interessanti sono alcune esecuzioni dal vivo tratte da “Live in Japan”. Oggettivamente non si può ritenere esaustiva questa compilation così “More Music from Ray” aggiunge materiale tratto dal film e della sterminata discografia del cantante, brani appena meno celebri dei precedenti ma autentiche perle musicali. Registrazioni per l’Atlantic e la ABC degli anni ’50 e ’60, in rigoroso ordine cronologico. Tra queste “Leave My Woman Alone”, “Lonely Avenue”, “I Believe to My Soul”, “But On the Other Hand Baby” e “The Danger Zone”. Per i collezionisti il pezzo forte è rappresentato da 3 brani che lo stesso Ray Charles ha registrato nel 2003, durante la preparazione del film, e che servivano al regista per essere utilizzati durante le riprese: “Drown in My Own Tears/You Don’t Know Me”, “Every Day I Have the Blues” cantata da Chris Thomas King con Ray al piano, e infine “Baby Let Me Hold Your Hand” che vede Slash, ex-chitarrista Guns N’ Roses esibirsi in un magnifico assolo. (Luigi Lozzi)


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