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The Sumner Brothers – S.T. (2008)

Certi dischi sono talmente densi che potresti tagliarli a fette. Fette di una passione autentica, quella per la musica delle radici, quali il country e il blues, che in questo secondo e omonimo lavoro dei canadesi Sumner Brothers si assapora appieno.

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Certi dischi sono talmente densi che potresti tagliarli a fette. Fette di una passione autentica, quella per la musica delle radici, quali il country e il blues, che in questo secondo e omonimo lavoro dei canadesi Sumner Brothers si assapora appieno. Musica folk, insomma, che i fratelli Brain e Bob Sumner realizzano in maniera del tutto originale, con un taglio certamente passatista ma mai stucchevole.

La sensazione che si ha ascoltando questo nuovo lavoro dei Fratelli Sumner, che segue di appena due anni In The Garage del 2006, è quella di avere a che fare con quel Bruce Springsteen malinconico e solitario che noi tutti conosciamo, ma anche con quell’attitudine intima, alienata e allo stesso tempo fuori dalle regole di personaggi come Bob Dylan e Lou Reed. Tuttavia ciò che cattura l’attenzione di questo album è la capacità di saper scavare in profondità nonostante le strutture compositive di ciascuna traccia, così come gli arrangiamenti, siano estremamente semplici e sempre in bilico tra Johnny Cash ed Elvis; ma sappiamo benissimo, come questi ultimi ci hanno insegnato, che per scrivere delle belle canzoni non occorrono grandi mezzi, bisogna avere semplicemente un’anima in continua agitazione.

Chissà, forse è proprio il fantasma de “L’uomo in nero” che scuote l’animo della formazione di Vancouver, facendoli suonare come dei moderni cantastorie alla maniera di Micah P. Hinson e Felice Brothers. Tutti i brani del disco, da quelli acustici (la gran parte) a quelli più ritmati, sono di una bellezza disarmante e mai così eccessivamente alt. country come potrebbero essere invece quelli di Bonnie Prince Billy. Quelle dei Sumner Brothers sono canzoni che vanno dritte al cuore. Canzoni da tirar fuori nei momenti di solitudine; di quella solitudine sospirata, di cui ogni tanto non possiamo fare a meno. (Luca D’Ambrosio)


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