L’AMORE E L’APOCALISSE DELL’IMPERATRICE: INTERVISTA A UMBERTO MARIA GIARDINI di Luca D’Ambrosio
Concluso il progetto Moltheni, Umberto Maria Giardini torna sulla scena musicale indipendente con un nuovo lavoro discografico che porta il suo vero nome. Un album diverso dal solito, elettrico e psichedelico, che tuttavia non perde un solo grammo di stile, di poesia e di amore. Quello realizzato da U.M.G. è un “viaggio interiore” che abbiamo cercato di decodificare attraverso l’intervista che segue. Buona lettura.
Umberto, iniziamo dalla fine, ovvero dalla conclusione del progetto Moltheni. Da dove è scaturita questa decisione?
Dalla necessità di resettarmi, di scrollarmi di dosso alcuni malumori legati alle persone di cui mi ero circondato nell’ultimo periodo. Tutti avvoltoi in cerca di guadagno, e basta. Inoltre credo che il progetto fosse giunto al termine naturale. Tutto nasce, tutto muore.
Lo pseudonimo Moltheni è oramai alle spalle e, al di là del successo e delle soddisfazioni che hai avuto in oltre dieci anni di carriera, c’è qualcosa del passato che conservi ancora e che hai messo dentro anche in questa nuova vita artistica?
Credo sia l’amore per la musica e per le cose fatte in una certa maniera, all’antica. Mi piace da morire tenere e osservare vecchi criteri legati a certe dinamiche passate. L’amicizia tra i miei collaboratori, le tempistiche, la minuziosità con la quale scrivo, arrangio, definisco, concludo, interpreto.
E, invece, c’è qualcosa che non vorresti affatto ripercorrere?
Un rapporto di lavoro con una Major. Mai più!
Tra Moltheni e U.M.G. c’è stato però un altro progetto: i Pineda. Dobbiamo considerarlo un episodio a se stante o un momento di riflessione e quindi il preludio di questa nuova esperienza?
Non lo so, è stato un progetto pensato, voluto e realizzato. Un disco meraviglioso, assieme alla “Dieta dell’imperatrice”, di sicuro la più bella cosa fatta in vita mia. Abbiamo impiegato svariati mesi nello scriverlo, ma il risultato è stato talmente appagante che lo rifarei senza alcun ombra di dubbio domani, sopra ogni aspettativa.
Ecco, adesso parliamo della Dieta dell’Imperatrice, il tuo nuovo lavoro discografico che hai voluto pubblicare con il tuo vero nome, Umberto Maria Giardini. Allora: quando hai iniziato a pensare a questo album?
Ho iniziato a pensare di scrivere un nuovo lavoro e in una certa maniera, quando, dopo aver visto in tour sette volte Anna Calvi, ho capito molte cose che prima non avevo lontanamente considerato, soprattutto da un punto di vista prettamente tecnico, e compositivo. Il tutto risale a poco più di un anno fa, poi il tempo è volato, veloce, implacabile. Ho impiegato circa otto mesi nello scrivere “La dieta dell’Imperatrice”, ma è andata benissimo. Confido di tornare in studio a febbraio per registrare un nuovo EP “Ognuno di noi è un po’ anticristo”.
Mi pare di aver letto che il motivo per cui sei tornato sulla scena musicale è dovuto al tuo bisogno fisico di suonare dal vivo. Vero?
Sì, anche, perché fortissimo. Non tanto per il pubblico, che mi trasmette sempre grande affetto, ma quanto per i volumi. Adoro gli alti volumi.
Qualche tempo fa, quando eri in procinto di registrare questo disco, mi dicesti che sarebbe stato un lavoro “lento ed elettrico” e con canzoni “legate al viaggio interiore dell’uomo e della donna, nonché all’apocalisse”. Beh, ascoltandolo mi pare che tu non abbia affatto torto, tranne qualche episodio come per esempio la strumentale “Il desiderio preso per la coda” e “Il sentimento del tempo” dove le ritmiche si infervorano scrollandosi di dosso una certa lentezza. Mi spieghi meglio però da dove nasce questo “viaggio interiore”?
Nasce dalla mia personale consapevolezza della sempre più marcata incomunicabilità tra gli essere umani. Oramai non ci capiamo più tra di noi, siamo destinati a distruggerci e credo che questo accadrà considerevolmente presto. L’unico sollievo che l’uomo può succhiare direttamente dalla sua volgare esistenza è dato dalla natura e dal silenzio. Ovunque c’è natura, ovunque c’è silenzio, c’è speranza.
A proposito del “viaggio interiore”, lo hai firmato con il tuo vero nome proprio perché lo senti molto più vicino a te come uomo e non solo come artista?
Non lo so, l’ho firmato così perché mi sembrava giusto, forse ovvio. Non ci sono ragioni così profonde.
Davvero emozionante “Genesi e mail” il cui testo però è anche un bel colpo allo stomaco con frasi tipo: “L’uomo è vigliacco, dice sempre no, a meno che non gli conviene”, “Femmina è la fame, maschio letame” oppure ancora “Femmina è l’amore, maschio il dolore”. Ma è proprio così? Pensi che bisognerebbe tornare alla natura?
Che tu ci creda o no, io non penso. Non so cosa si dovrebbe fare. So quello che si fa e quello che l’uomo ha distrutto e che distrugge ogni giorno, anche gettando semplicemente un pezzo di carta in terra, o lasciando una luce accesa in corridoio. Oltre a essere fuori moda e sciocchi, ecco, gli esseri umani sono diventati ai miei occhi noiosi estremamente prevedibili. Tutto quello che fanno è sbagliato e soprattutto lo si sa già prima che lo fanno.
Comunque è un disco psichedelico. Era proprio quello che cercavi?
Assolutamente sì, detesto il concetto di rock applicato alla musica. Il termine psichedelico rappresenta nel mio immaginario molte più cose, molto più reale. L’aspetto che sempre mi ha di più contraddistinto penso sia una spiccata predizione alla visionarietà. Chi è visionario, secondo me, è legittimato a non sbagliare.
C’è stato anche un cambiamento di immagine. È stato un caso?
Tu dici? Non ho più la barba, tutto qua, ma non ha alcun significato.
Rispetto al passato, c’è stato per caso un tipo di approccio diverso nel registrare questo nuovo disco?
Di diverso c’è stata la consapevolezza di fare le cose come si vogliono e, quindi, la sorpresa che tutto fili liscio quando il produttore del disco ti chiede qualcosa o quando si preme il tasto “Play”. Antonio Cooper Cupertino ha realizzato un vestito cucito a mano a quello che avevo scritto. La modella – L’imperatrice – sfila da perfetta signora.
Perché “La Dieta dell’Imperatrice”?
Perché a mio avviso la musica italiana è un Imperatrice. Lo era quando è nata nel rinascimento, poi divenne signora solenne nell’800 con i maestri della musica classica mentre negli anni ’40, ’50 e ‘60 si truccava per uscire, bellissima. Oggi è stanca perché è messa a dieta, da tutti coloro che credono di occuparsene. Gli addetti ai lavori, gli ascoltatori, i musicisti stessi. Zero cibo, zero acqua, solo schiaffi e mortificazioni.
Come sono le prime reazioni del pubblico e della critica specializzata?
Molto buone, numerose persone si sono accorte di quale raro gioiello sia questo nuovo lavoro, e io ne sono felice. Me ne accorgo di come viene recensito ma soprattutto dal linguaggio dei giornalisti, stranamente elegante. Tremavo all’idea di essere considerato l’autore di dischi come quelli degli Afterhours, per esempio, dove tutto è bello perché è “After”. Rabbrividisco solo all’idea. Felice di essere criticato, vuol dire che ho azzeccato tutto, con i miei limiti di uomo e musicista, non di manager della musica alternativa italiana.
A proposito di Anna Calvi, so che l’anno scorso uno dei tuoi dischi preferiti è stato proprio il suo esordio. Cosa ti affascina del debutto di questa giovane e bella musicista inglese?
La preparazione, il suo gusto retrò, l’eleganza… Al mondo non esistono solo Bandabardò e dei Modena City Ramblers. (Ndr, sorride)
Avresti anche dovuto aprire il suo concerto di Roma, poi saltò tutto…
Già, vero, ma non per colpa mia…
Cos’altro stai ascoltando in questi giorni?
Come sempre ascolto molto jazz, ma anche St. Vincent, PJ Harvey, Other Lives, House of Wolves, Nina Simone, Umberto Bindi… Nell’ultimo mese e mezzo ho ascoltato soprattutto questa roba, una cornice perfetta per l’arrivo dell’autunno, tanto desiderato.
Hai avuto modo di testare il nuovo disco dal vivo?
No, non ancora, ma le prove pre-produzione live che stiamo facendo a Bologna a porte chiuse mi rassicurano.
Come e da chi sarà composta dal vivo la tua band?
Saremo in quattro. Marco Marzo Maracas alle chitarre e pedali, prof. Giovanni Parmeggiani al piano Rhodes e organo, Cristian Franchi alla batteria. Pochi, ma buoni.
C’è anche un nuovo sito, visto che quello di Moltheni ormai non esiste più?
Certamente, è andato on-line proprio qualche giorno fa. È www.umg-music.com,un sito molto minimale e scarno, e mi piace cosi. Ci abbiamo lavorato io e Nicola Santoro, e siamo contenti del risultato ottenuto.
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