La difficile arte di fare le cose semplici, di tastare assaggiare mordere ogni giorno quotidiano. La cucina povera del vivere: quando è buona, quando è lontana dalla complessità forzata, dall‘ipertrofia del kitsch, dalla falsità a bassa modulazione di un vivere amorale. Trasportare tutto questo in nove canzoni furibonde, anche quando all‘apparenza sembrano quiete, vuol dire riferirsi al secondo disco dei manzOni. “Cucina povera”: a due anni dall’esordio che aveva il nome del gruppo, a uno dall‘EP “L‘astronave” che di quel disco raccoglieva uno dei brani più incidenti e altre tracce escluse – e dopo tanti concerti sorprendenti con un seguito di pubblico crescente. Il gruppo veneto torna con un nuovo lavoro che ne conferma la potenza e alza non di poco il livello del songwriting. E ancora una volta la biografia si fa sangue, e il sangue impasta l‘humus post-rock di marca Constellation di una delle più belle e intense sorprese dell‘indie-rock italiano degli ultimi anni. Luigi Tenca, oggi cinquantanovenne, dice e canta parole che raccontano la sua-propria- storia-universale. Il mestiere di vivere narrato in dettagli carveriani, palpitazioni alla Ciampi, canzoni che diventano sempre più canzoni evitandosi i ritornelli: perché non ritorna niente, tutto avviene, segna, un giorno dopo l‘altro, con quel cognome che non sai se è una beffa o un sigillo venuto male, di uno venuto a patti con la musica quel tanto che basta per rimanerci dentro, proprio come per la vita. E poi chi la musica la fa: Fiorenzo Fuolega, Carlo Trevisan, Emilio Veronese, Ummer Freguia, tutti trentenni al seguito di quella fiamma d‘uomo che brucia. Quattro chitarre, quattro cavalli lanciati nella pianura e nei falsopiani delle parole di Luigi, due che diventano colpi di batteria e flussi di loop. Tensioni che s‘intrecciano, nervosismi e landscapes sonici, crescendo che sanno di artigianato e fatica. Il post-rock è la nostra musica popolare, arroventa l‘unica utopia rimasta, quella di muscoli cardiaci che urlano liberi il loro intenso senso di esistere. Di questo i manzOni sono portatori, vittime, alfieri. Di questo “Cucina povera” è un canto costolare e ieratico. Una confidenza che esplode nel cosmo. Un colpo inferto all‘abuso del nulla. Un qualcosa che allarga lo spettro d‘emozioni di chi ascolta e ricorda che, sì, c‘è ancora una possibilità, almeno una. Almeno per ciò che raccorda il sangue e le stelle. (Fleisch Agency)
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