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Luca Faggella – Ghisola (2010)

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Parlare di Luca Faggella può essere una fatica per chi scrive. Perché nonostante i tanti anni di carriera (che brutto termine!) devi sempre stare a spiegare un mucchio di cose a gente disattenta, che è come spiegare che c’è la luna da guardare piuttosto che il dito. E poi se capita a me di doverlo fare, che in fondo la musica italiana nel suo insieme, non ha mai incantato con facilità, la trovo una fatica doppiamente infame. Luca è personaggio di grande spessore musicale, non è un cantautore come ce lo potremo immaginare da quasi cinquantennale consuetudine. Eppure le strutture compositive di Ghisola sono strettamente cantautorali, con uso di fisarmonica e pianoforte, ovviamente le chitarre spesso acustiche ma in Come è un basso portante alla New Order a tenere testa al cantato per tutto il pezzo, generando una tensione tipicamente anglosassone tutt’altro che strana nel DNA del nostro livornese, che ha Ciampi nel sangue ma pure i Joy Division. O magari, curioso com’è, i Black Heart Procession o i Piano Magic. La Prova è altra prova di questa commistione bizzarra, benedetta e affascinante, nella sua oscurità sinistramente rurale, in una maremma spesso evocata dai contorni ben poco da cartolina e dove i butteri rivaleggiano disparatamente con una variante di valico che rende la campagna un incubo metropolitano. Luca vive una realtà attualissima della musica rock internazionale, che lo avvicina ai nomi migliori dell’underground (ma c’è un altro modo di definire tutti quegli artisti che pervicacemente continuano a non volersi allineare alla piattezza e tutti quelli che non sanno proprio farlo?) Ti bacio e torno ad esempio è una di quelle cose da far ascoltare in casa Kranky, ove si stupirebbero di aver trovato un gemello perduto tra la campagna vicino al mare e la capitale di un paese lontanissimo come l’Italia, oltre ad essere un pezzo di musica rock notevolissimo. Drowning (da un testo di Emily Dickinson) si staglia con un fulgore inaspettato a metà disco apre i cieli pressoché oscuri in una fuga sonora che qui si sa di larghi spazi e vento sulle distese. Ghisola è un disco pieno di musica scaturita da una giornata ventosa, talvolta tempestosa, che propone inquietudine e radi spazi inondati di sole, da occupare con l’orgasmo di vita di chi sa che non durerà in eterno come fosse l’unica estate della propria vita e in tale clima rovistato e rivoltato si pone anche la rilettura di St. Elmo’s Fire di Jean Baptiste de la Salle Eno, che a un certo punto irrompe tra i solchi tutt’altro che fuori luogo. Speziatamente adorno di suoni, come il suo mentore disteso nervosamente tra le mura urbane di una campagna un momentino inquietante Ghisola è un gran bel disco ed offre un lato disorientante dell’artista forse prima poco illuminato, lato tempestoso di un’anima comunque da sempre alla ricerca e poco incline a dormire sonni tranquilli, anzi poco incline a dormire in generale. E semmai ci fosse stato qualche dubbio che il cantautorato italiano di qualità non è più facilmente “ingabbiabile” in stilemi noiosi e giunge in conclusione Maremma Sangue, praticamente un incubo sanguinoso tra lotte di vita e amore perso che si sfrangia al suo divenire nella Parrana d’archi, timpani e fiati, inaspettata come la conclusione d’una battaglia a lungo temuta, a lungo combattuta e infinite forzatamente vinta. (Massimo Bernardi)


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