Ci sono dischi di una bellezza disarmante, anche se poi non hanno nulla di nuovo da raccontare. Dischi che si potrebbero ascoltare per intere giornate, perfino quando ci si sveglia con il mal di testa e con quella irrefrenabile voglia di mandare a fare in culo il mondo intero, a partire proprio da quell’ammasso di vinili, di CD (e ora anche di hard disk) sistemati in un angolo di casa. Insomma, ci sono dischi che, quando meno te l’aspetti, riescono a metterci in pace con l’intera umanità ripartendo esattamente da dove avevamo iniziato, ovvero dagli anni ottanta. Ends Run Together del neozelandese Robert Scott (The Clean, The Bats e il Dunedin Sound vi dicono qualcosa?) è uno di quelli. Un album di una classicità pop rock inconfondibile, capace come pochi di riaccendere i ricordi ma anche quel desiderio oramai assopito per la scoperta. Tredici tracce che, nella giusta misura, sanno imbrattarsi di new wave, di folk e di psichedelia e che in alcuni momenti danno quasi l’impressione di ripercorre quelle stesse strade maestre indicate dai Verlaines e dai Dream Syndicate. Brani di una bellezza cristallina che arrivano in seguito ad alcuni EP, qualche raccolta e diverse registrazioni (ufficiali e non), ma specialmente nove anni dopo The Creeping Unknwon, amabilissimo esordio del 2001 che, con i suoi numerosi intermezzi strumentali, vedeva il musicista della Nuova Zelanda molto più vicino a certe sperimentazioni avanguardistiche tipiche di Brian Eno o di Robert Wyatt che a quella forma canzone, in odore di Go-Betweens e di Lloyd Cole And The Commotions, che invece marchia a fuoco quasi ogni solco di quest’ultima prova (eccezion fatta per il finale strumentale di Terminus che sembrerebbe dimostrare il contrario). Ends Run Together si rivela quindi un lavoro più fluido e diretto di quel lontano debutto d’inizio millennio, con canzoni che sanno già di sentito ma che non perdono mai di brillantezza e di tensione e che, miracolosamente, riescono a rinnovare l’entusiasmo per questa nostra “insana” passione. Basta infatti mettere su le travolgenti On the lake o Too early oppure ancora la lisergica Daylight per capire subito qual è lo spazio temporale ridisegnato da Robert Scott, vere e proprie bordate di pura adrenalina. Ciononostante saranno le mitezze folk rock di Messagges e di Greenwood Tree ma soprattutto le atmosfere di The Moon Upstairs (pezzo che in 4 minuti frulla finemente new wave, paisley underground e jangle pop) a farci innamorare una volta per tutte di Ends Run Together. Un piccolo capolavoro del 2010 da tenere sempre a portata di mano, ma anche un piccolo passo indietro per capire chi siamo e dove stiamo andando. Benché qualcuno possa considerarlo, superficialmente, un’operazione nostalgica e insignificante. (Luca D’Ambrosio)
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