L’avevate notato? Xabier somiglia sempre più a Francesco Currà, il semisconosciuto autore di Rapsodia Meccanica, uno dei più alti esempi di musica concettuale mai partoriti in Italia. Una affinità che è fisica (il mustazzo proletario degli anni Settanta, ora finalmente sdoganato e tornato di moda) ma pure ideologica e che questo Irrintzi rende infine pubblica grazie all’omaggio plateale reso alla sua Preferirei piuttosto sulla facciata B del disco, dedicata alle rivisitazioni corrosive e acide di sei angoli della mente del polistrumentista basco. [b]Irrintzi[/b] è un conato di vomito sul perbenismo culturale ed estetico italiano, l’ombra della memoria che si proietta sulle tante vie di fuga di cui l’uomo moderno sembra avere bisogno. Un aberrante ostacolo metafisico che ingombra le strade del nostro miserrimo labirinto mentale stimolandoci alla ricerca di soluzioni inusuali o addirittura inedite. Il tentativo, palese nelle rendition della seconda parte del disco e più subdolo nella parte autarchica del disco, è quello di rendere irriconoscibili anche i volti familiari, di disabituarci all’inganno confortante dell’amicizia e alla coccola rasserenante dell’ orsetto di peluche, di rendere instabile la nostra gruccia psicologica. Anche il viaggio a ritroso nella memoria privata (le melodie folkloristiche di Elektraren Aurreskua, la guerra di Guernica raccontata attraverso le parole del padre su Gernika Eta Bermeo, l’inno antidittatoriale di Itziar En Semea) è percorso infestato da mostri e parassiti. Vermi che divorano la nostra infanzia come brandelli di carne putrefatta. Musicalmente Irrintzi è disco che disturba e importuna, un intreccio di voci arcaiche e rumori futuribili, ronzii e voci filtrate, suoni etnici e abrasioni elettriche che si sovrappongono e si annientano l’un l’altro, come anime dannate dentro gironi infernali. E come per Dante avrete bisogno di una guida per non smarrirvi. Anche voi avrete l’esigenza di sentire una mano amica sulla vostra spalla. Giratevi e provate a cercarne una. Siete in bilico sull’abisso. A un passo dalla fine del mondo. Ora potete sentirne il rumore. (Franco Dimauro)
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