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Ada Montellanico – Suono di Donna (2012)

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Splendide signore del jazz (più sofisticato) crescono anche da noi!”. È un genere, il jazz, che nell’arco della sua storia ha spesso affidato – molto più di altri generi musicali – una importante fetta del proprio appeal alle performance di artisti al femminile; prevalentemente cantanti, ma non solo cantanti. Ada Montellanico appartiene all’eletta (oscura ma nutrita) schiera di artiste nostrane che provano a farsi largo in un mercato asfittico (parlo di quello discografico), ma rinfrancate – è il caso della Montellanico – dal buon seguito di consensi conquistati sul campo, nell’incessante andirivieni lungo lo Stivale (ed anche fuori dai confini patrii) a esibirsi laddove c’è sete di musica di qualità. La lunga lista di prestigiose collaborazioni (tra gli altri Enrico Rava, Lee Konitz, Enrico Pieranunzi, Jimmy Cobb) le ha consentito di ‘crescere’ moltissimo negli ultimi anni. Il suo nuovo disco è bello e appassionante e fin dal titolo si distingue per l’essere dedicato alle donne; non nel senso (politico) del come occupino un posto importante nella nostra società ma nella direzione di quanto la loro sensibilità artistica emerga nel panorama musicale tout-court, anche nel ruolo non trascurabile di arrangiatrici e/o direttrici d’orchestra. Nella sua formazione Ada è rimasta folgorata da Billie Holiday prima, affascinata poi dal canto di Betty Carter, Anita O’Day ed Ella Fitzgerald, e dalla poeticità di Chet Baker. Una voce intensa la sua, duttile ed espressiva, per accompagnare le otto cover (attenzione, tutti brani scritti da donne), più due pezzo originali, che compongono l’album. Uno strumento in più nell’economia di un disco sorprendente ed affascinante. Non necessariamente jazz i brani scelti – come ci insegna un certo desiderio di contaminazione emersa negli ultimi anni – che invece spaziano pure tra rock e pop. Nelle note di copertina la stessa Ada spiega (in effetti) alcune sue scelte: «Mi affascinava l’idea di fare un viaggio all’interno del mondo della composizione musicale, così poco frequentato dalle donne. Ci sono state nella storia molte grandi interpreti ma certamente sono meno numerose quelle che si sono avvicinate alla direzione d’orchestra, all’arrangiamento e più squisitamente alla composizione». Un plauso particolare merita il trombettista Giovanni Falzone che le è stato al fianco in questo progetto con creativa genialità provvedendo a farsi carico degli arrangiamenti e della guida di un gruppo di musicisti eterogenei. I due pezzi originali sono la delicata “Meteora”, scritta a quattro mani da Ada e Giovanni, e “Trepido sguardo” della sola Montellanico, e al confronto con gli altri materiali scelti non sfigurano affatto. Gran parte del materiale proposto è ovviamente affidato all’improvvisazione della titolare in primis, poi dei musicisti che l’accompagnano. Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso), Alessandro Paternesi (batteria & percussioni), Mirco Mariottini (clarinetto basso), Glauco Benedetti (basso tuba) e Massimo Morganti (trombone) compongono un settetto (in realtà un ottetto con l’aggiunta di Falzone) che più di una formazione jazz somigliano ad una ‘piccola’ orchestra, assicurando originali impasti timbrici. Ad aprire le danze uno dei gioielli firmati da Joni Mitchell, “Black Crow” (era presente su “Hejira” del 1976), che Ada fa suo (ed aggiorna) in maniera originale e con la forza del suo vocalismo dal timbro deciso, senza temere di ‘scadere’ nel confronto con la grande folk-singer canadese. A seguire, subito dopo, troviamo “Parole di burro” che Carmen Consoli scrisse nel 2000 e “Promised Land” di Ani DiFranco, che fanno emergere solida la bontà dei nuovi arrangiamenti. “Ups and Downs” (inclusa in “Fleur Carnivore” dell’89) di Carla Bley, un pezzo in origine impostato in modo elementare (ma difficilissimo da imitare) su scale discendenti in 3/4 che la Montellanico interpreta con assoluta efficacia. Il sofisticato capolavoro di Maria Schneider, “Choro Dançado”, aperta dal trombone di Massimo Morganti offre all’artista l’opportunità di dare sfogo a tutto il suo gioioso estro interpretativo. “Joga” di Bj?rk è pervasa di atmosfere nordiche sapientemente dispiegate nell’elegante arrangiamento che l’accompagna e che dona al pezzo una nuova vitalità. L’interpretazione di “Bird Alone” (di Abbey Lincoln) è semplicemente da incorniciare, prima della chiusura – gioiosa – affidata ad un altro brano di una cantautrice nord-americana: “So Far Away” di Carol King. Ad Ada Montellanico va riconosciuto il merito d’aver personalizzato il proprio percorso artistico seppur facendo leva su un repertorio di brani altrui; la sua è una cifra stilistica perfettamente riconoscibile oggi. Quello che fondamentalmente colpisce all’ascolto di “Suono di Donna” è la palese volontà della protagonista di non imporsi come corpo a sé, ‘estraneo’ e disgiunto, dal contesto strumentale a corredo, ma piuttosto di rendersi parte integrante di un coacervo musicale che coinvolge tutte le componenti che sono intervenute nella fase di costruzione e realizzazione di questo progetto (per molti versi) trasversale. (Luigi Lozzi)

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