(Crossroads Live Club – Roma, Braccianese – 2 novembre 2012) – Una delle migliori songwriter americane degli anni Ottanta e Novanta, quella che con le sue ballate intimiste ha aperto la strada a una nuova generazione di cantautrici e sulla quale la macchina mediatica ha steso il velo dell’oblio nell’ultimo decennio, ha tenuto un delizioso concerto nei pressi di Roma. Si trattava della tournée per celebrare il 25ennale dell’uscita del suo secondo album (”Solitude Standing“) che dopo le acclamate esibizioni dello scorso settembre a Boston, New York e Londra, è approdata in Europa. Non poteva mancare l’Italia tra le mete preferite di Suzanne Vega che ha tenuto quattro date sul suolo italiano tra il mese di ottobre e di novembre. E dalle nostre parti il luogo deputato all’evento è un locale in forte crescita, il Crossroads Live Club, dislocato in via Braccianese, a nord di Roma. Suzanne Nadine Vega nasce a Santa Monica, in California, l’11 luglio del 1959 ma New York l’adotta fin dall’età di due anni. Nella ‘Grande Mela’ cresce (nell’Upper West Side), studia (diplomandosi alla High School of Performing Arts poi laureandosi in inglese alla Columbia University e respirando l’atmosfera multiculturale della metropoli) e costruisce la propria credibilità artistica – nel circuito dei folk club del Greenwich Village – in un periodo di fervido sviluppo per il songwriting ‘a stelle e strisce’, durante il quale nuove figure si vanno imponendo, e si offrono al ricambio generazionale di quello zoccolo duro di cantautori emerso alla metà dei Sessanta sulla scia di Bob Dylan. Porta il cognome del padre adottivo, lo scrittore portoricano Ed Vega; del padre autentico non ha mai saputo nulla. Frequenta così anche la comunità ispanica, cosa che serve ad ampliare i suoi orizzonti artistici. Il suo modello di riferimento è da sempre Leonard Cohen ma a convincerla ad imboccare la strada del cantautorato è un concerto di Lou Reed del ’79 che lei racconta così: “Mi ha folgorato, è stata la prima volta che mi è capitato di vedere un artista affrontare temi come la violenza e la disperazione con grande coraggio. Ho capito là che avrei potuto dedicare la mia scrittura agli esclusi, alla gente della strada, che sarei potuta diventare una folksinger“. Il 1985 è l’anno dell’esordio discografico con l’album che reca semplicemente il suo nome e che le permette immediatamente di riscuotere i favori della critica. Nell’87 è la volta di “Solitude Standing”, disco che contiene il suo maggior successo, “Luka”, in virtù del quale la Vega arriva a conquistare un gran numero di estimatori nel segno di un folk-pop acustico di eleganza assoluta e grande sensibilità. Sono gli anni in cui una nuova generazione di cantautrici trova spazio nei gusti degli appassionati e certamente Suzanne, con il suo successo, apre le porte all’affermazione futura di colleghe quali Tori Amos, Sheryl Crow, Alanis Morissette, Fiona Apple, la canadese Sarah McLachlan. I suoi brani narrano di piccole malinconie quotidiane, mettono a fuoco le insidie dell’amore. Ma Suzanne non è mai stata artista troppo prolifica (anche a causa dei continui ripensamenti personali sulla propria arte), ha conservato sempre un profilo basso da anti-star del rock (”Se tieni un basso profilo puoi durare più a lungo, anche se magari non finisci sui giornali” dichiarava un tempo), e il successivo album arriva ben tre anni dopo, nel ’90, lo sperimentale “Days Of Open Hand”, risultando alla fine – seppur non brutto – piuttosto deludente, probabilmente perché appare chiaro come i tempi siano già rapidamente cambiati, e nuovi generi ed autori hanno preso il sopravvento. Suzanne Vega smarrisce il feeling instaurato con il grosso pubblico e le rimane unicamente l’affetto e l’attenzione degli appassionati della prim’ora che continuano a seguirla con devozione. Solo due gli album incisi nei Novanta: “99,9° F” (1992), che contiene la splendida “In Liverpool“, e “Nine Objects Of Desire” (1996). Nel nuovo millennio “Songs In Red And Grey” (2001) è seguito da un’antologia nel 2003 dal titolo “Retrospective – The Best Of Suzanne Vega” e nel 2009 da “Beauty & Crime” inciso per una nuova etichetta, la prestigiosa Blu Note. Le recenti raccolte “Close Up” includono le vecchie canzoni reinterpretate con toni ancor più intimisti: nuova veste e nuova vita a brani che hanno gli anni sulle spalle. Ora, se da una parte si riduce ulteriormente l’attività discografica dall’altra Suzanne continua a tenere concerti nei piccoli club e apre i propri interessi verso la scrittura. Riservata, garbata ed elegante come da sempre la conosciamo, antidiva per elezione, così Suzanne si è presentata al pubblico che l’ha accolta con calore nel club Crossroads alle porte di Roma, forte di una capacità di sedurre il ‘suo’ pubblico collaudata nella lunga sequela di concerti che in questi anni si è concessa. Uno stile molto personale, un minimalismo artistico impreziosito da trame sonore delicate, accompagnandosi alla chitarra acustica (e servendosi quale unico supporto del chitarrista Gerry Leonard) su cui si innesta un vocalismo spesso sussurrato, ma ben distintivo: non riesce a tenere le note lunghe per antichi problemi d’asma. Ma questo non inficia affatto il valore della sua esibizione. Le sue canzoni intimiste sono quasi delle poesie, pennellano gli struggimenti dell’animo, è un pop acustico (talvolta) tinteggiato di sfumature jazzy. “Oggi sono una piccola cosa triste” canta Suzanne in “A Small Blue Thing”, snocciola poi una dietro l’altra nei 90 minuti di concerto l’intensa ballata “Marlene On the Wall”, “Book Of Dreams”, “Caramel”, “Frank & Ava” dedicata a Sinatra e Ava Gardner, la bossanova di “Pornographer’s Dream“, “Tombstone” che introduce raccontando un curioso aneddoto sulla morte del gatto di casa, “The Queen and The Soldier”. Ad assisterla di tanto in tanto, per tradurre alcune cose che lei ci tiene siano per comprese dal pubblico, sale sul palco Valerio Piccolo, un cantautore di Caserta che vive tra Roma e New York e che da molti anni ha allacciato stretta amicizia e una collaborazione con la cantautrice. Non potevano mancare in chiusura di concerto, e prima dell’immancabile bis, le due perle più significative e conosciute della sua discografia, “Luka” e “Tom’s Diner”, entrambi dell’87 e presenti sull’album “Solitude Standing”. Il primo, lo ricordiamo, è un brano che tratta con molta delicatezza il tema incubo dell’abuso sui minori, una materia difficile da affrontare; Suzanne punta il dito contro l’indifferenza della gente e, come ha svelato solo più tardi, pur narrando in terza persona, ha portato in primo piano un episodio che da piccola ho vissuto sulla propria pelle. Il secondo reca il nome di un famoso ristorantino di Broadway ed è diventata assai popolare in tempi recenti per il remix in chiave rap operato dai due produttori di musica dance inglesi conosciuti come Dna. Tornando brevemente a Valerio Piccolo ricordiamo che dal 2000 è il traduttore ufficiale di Suzanne, ha curato per le edizioni Minimum Fax la traduzione per il nostro paese (con il titolo di “Solitude Standing“) di “The Passionate Eye“, un libro di racconti, poesie e canzoni inedite della cantautrice. A più riprese Piccolo è salito sul palco insieme a Suzanne e dal 2007 apre le date italiane dei suoi tour. Insieme, un paio d’anni fa, hanno dato un ‘sequel’ a “Freeze Tag”, pezzo su una storia d’amore che finiva, contenuto nel primo album omonimo di Suzanne, con “Suono Nell’Aria – Freeze Tag”, nel quale i due protagonisti di venticinque anni fa si incontrano nuovamente e provano a dialogare ancora. Brano che Piccolo ha interpretato in apertura di serata nello spazio a lui concesso prima della performance di Suzanne. (Luigi Lozzi)
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