Canadese, originaria di Quebec ma di stanza a Montreal, al suo primo album dall’intonazione alt-folk, Caroline Keating ci regala un lavoro semplicemente delizioso all’ascolto. Qualcuno, in quanto a espressività vocale, l’ha definita una via di mezzo tra la cantautrice australiana Lenka e Cindy Lauper, sebbene (musicalmente) non abbia nulla in comune con le su citate artiste, altri vedono in lei i germi di una novella Tori Amos, ma in realtà si intuiscono le enormi potenzialità di una cantante non ancora del tutto espresse, con ampi margini di miglioramento. Il suo minimalismo espressivo poggia sul suono semplificativo e meditativo del solo pianoforte (e in qualche caso del Wurlitzer) ed il supporto di una sezione di archi (tra questi Sebastian Chow degli Islands al violino), di basso e batteria, dell’accordion di Josh Dolgin, opportuni e mai invasivi. I testi introspettivi delle canzoni (su amori mancati e vissuti, bozzetti di vita o esplicitazione di emozioni e intimi pensieri, sulla solitudine e la fragilità dell’animo umano), mai banali, rivestono un ruolo fondamentale nella riuscita dell’album in virtù di un approccio decisamente poetico che coglie nel segno. Per essere all’esordio (a precedere la pubblicazione di “Silver Heart” c’era stato solo un EP nel 2008 titolato semplicemente con il suo nome) Caroline sembra davvero avere alle spalle una lunga militanza sul campo tanta e tale è la personalità e la concretezza che mette in mostra in questa circostanza. La produzione è di Drew Malamud, che ha buone cose curate alle spalle (Grizzly Bear, Metric e Stars). La title-track in apertura si propone immediatamente con un piano dissonante che lascia poi spazio alla voce incisiva di Caroline. Si evidenzia una certa (voluta) dilatazione dei suoni e non si disdegna un qualche sperimentalismo, “Ghosts” e “Billy Joel” (qualcosa di più di un omaggio devoto al cantante e pianista, quasi una dichiarazione d’intenti) sono brani che mostrano di avere un groove più vivace, “So Long, Solance” è carica di un convincente climax mentre “The Pier“ è quello che ha un’architettura sonora più articolata. Un’altra delle cose migliori del disco, assieme ai pezzi già indicati, è “Lusty Dusty”, una ballata romantica niente male. Il disco esce nel 2012 ma i brani hanno avuto lunga gestazione e sono stati collaudati dal vivo, come dimostra il concerto tenuto a Colonia nel febbraio 2011. (Luigi Lozzi)
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