I nomi sul disco sono tutti inventati. Lenin England, il batterista, è Simon Redfern. Wednesday Childs, lo spilungone che si divide tra chitarra, Farfisa e voce, è suo fratello John (lo ritroveremo successivamente nei Cherokee Mist assieme al fratello e poi, finalmente col suo vero nome, nei Gorilla). Ben Sofa-Coffin, al basso, all’anagrafe è invece Ben Jackson. Il nome collettivo invece, una volta abbandonato quello di Giant Sunhorse con cui girano per i free festival inglesi con il loro repertorio rubato in larga parte a quello dei Cream, è un omaggio all’attrice Carolyn Jones, meglio conosciuta come Morticia. L’idea originale infatti è quella di esordire con un EP a lei dedicato, poi bocciato per problemi finanziari. La band del Sussex tuttavia non demorde e, dopo l’ incontro con Dave Goodman registrano in soli tre giorni (27, 28 e 29 Luglio) un intero album sempre dedicato alla dama della Famiglia Addams uscito in una prima prudente tiratura limitata di 500 copie e poi ristampato fino a diventare uno dei più importanti dischi-culto del garage punk europeo. Nonostante la copertina-parodia e il coinvolgimento di un buontempone come Mike Spenser dei Cannibals possa far pensare ad un gruppo-barzelletta, l’album di debutto dei Morticians si rivela come uno dei migliori dischi inglesi di derivazione neo-sixties di tutti gli anni Ottanta. Garage punk abrasivo nella “punk side” del disco dove accanto all’ originale crepitìo elettrico di Now she‘s gone esplodono sei vorticose cover di piccoli classici minori del beat-punk americano come Action Woman, Sweet Young Thing, Blackout of grately, E.S.P., I need you there e Don‘t need your lovin’. Tutte sporchissime di fuzz e a volte, come nel caso della splendida rendition dei Gonn, sostenute da deraglianti e fantasmagoriche linee di organo. La seconda facciata è dedicata al lato più psichedelico del terzetto. Spiral Bat, Carolyn (copiata da Why don‘t you smile now degli Allnight Workers) e Section 44 (la porzione mancante alla Section 43 di Country Joe and The Fish) sono delle visionarie divagazioni di Lisergico hard blues nel più classico stile iperamplificato di Cream/Blue Cheer/Jimi Hendrix. Stretta tra queste mura di watt una bella versione di Song of a baker degli Small Faces, indurita a dovere. Freak Out è uno strabiliante campionario di arte punk psichedelica. L’anello mancante tra il garage trash dei Cannibals, le acide convulsioni di Bevis Frond e il rantolo malvagio dei primi Morlocks. Turn on, tune in, Freak out. (Franco Dimauro)
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