“Goo” è per i Sonic Youth l’inizio di tante cose. È innanzitutto il primo figlio offerto in sacrificio al mercato adulto del disco e alle sue fabbriche di plastica. È la prima legittimazione della popolarità raggiunta dal quartetto newyorkese. È il sacramento battesimale che sposta l’asse della band dall’avanguardia autarchica degli esordi verso un linguaggio più accessibile. Un incontro a metà strada tra il proprio gusto e il palato della nuova gioventù americana che comincia ad assaporare le asprezze del grunge. I nuovi capelloni sono insomma pronti ad accogliere i Sonic Youth e loro sono decisi ad accettare la sfida del neonato decennio. È anche il disco dove emerge il lato più erotico dei Sonic Youth. Una sensualità che negli anni della giovinezza era stata tenuta nascosta, staccata da urgenze espressive più arrabbiate e nichiliste e che ora invece emerge sotto la possanza di un suono che ha raggiunto una maestosità che farà da scuola un po’ ovunque. C’è questa forza polverizzante e titanica che spinge dal basso, questa miscela di vetro-carbonio e limatura di piombo che si abbatte sulle pareti del loro suono tetragonale con fiera disinvoltura e con metodica ferocia. E di contro c’ è questa implosione di sensualità che emerge dalle trasparenze ogni qualvolta il tessuto si sfilaccia, stiracchiato dalle mani di Donn Fleming e J. Mascis. La fanghiglia rumorosa e dissonante tipica del gruppo americano si trasforma da seviziatrice della bellezza a sua servitrice senza tuttavia rimanerne assoggettata. Lo stupratore si trasforma in voyeur. Si intrattiene con la sua vittima, rimanendo a sua volta vittima del suo fascino. Ecco, “Goo” soffre e gode insieme di questa lusinga, di queste efferatezze trattenute, di questo onanismo sempre meno compulsivo, di questa contemplazione alla bellezza anoressica e macilenta. E noi con lui. (Franco Dimauro)
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