Vederli invecchiati, con i capelli grigi, gli occhiali da ex-segaiolo, i cappelli di feltro e tutto il resto mi accende di una tristezza infinita ma ciò nonostante su disco la band di Glasgow fa ancora una gran bella figura, anche se il loro suono ha perso quella freschezza degli esordi invecchiando, dignitosamente, insieme a loro. Come dire, dove non arriva l’energia arriva il mestiere. Che, mi rendo conto, non è neppure il miglior complimento da fare a una rock band. Almeno, non mi piacerebbe lo dicessero alla mia. Ecco perché ho smesso a vent’anni. Insomma, qualche puzzo di muffa viene fuori nonostante tutto. Coming from the hills, Undertow, Don‘t be afraid to cry, Hit the peaks stanno più dalla parte dei dinosauri (Led Zeppelin, U2, Mark Lanegan) che dalla parte dei rettili e i numeri buoni stavolta si contano sulla punta delle dita (quelle che usate per scaccolarvi, come scrivevo prima): Predilection for the blues con quel suono sanguigno figlio dei Creedence Clearwater Revival, High Risk Times con un accenno al ghigno dei New Christs come del resto The lure fo desire, l’impattivo blues di Rightful Duty. Il resto è onesto lavoro. Quello che, a quanto dice qualcuno, è estremamente noioso. (Franco Dimauro)
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