Messi in fila sui miei scaffali i dischi dei Fall sono 45. Compreso qualche live più o meno “seminale” e qualche raccolta più o meno necessaria. Messi a casaccio, fanno comunque 34 anni della mia vita. Compreso qualche live più o meno “seminale” e qualche raccolta più o meno necessaria. Un reciproco scambio di odio e lunghissime serate coi musi lunghi. Mai l’accenno a un sorriso, né sotto la puntina né sopra. Nemmeno all’ora di cena band difficile, i Fall. Lo sanno anche i muri. Scontrosa negli atteggiamenti e fastidiosa nella musica. Quando arriva un nuovo disco dei Fall, arriva per molestarti. Su un disco dei Fall non stai mai comodo. I dischi dei Fall non conoscono l’ergonomia, il comfort, l’agio. Sono spinosi e appuntiti. Ci chiedono di essere fachiri. Re-Mit non sfugge alla regola. Dodici “canzoni” che hanno la capacità di renderti nervoso, sia che tu mastichi un po’ di inglese, sia che non abbia nemmeno una vaga idea di quello che Mark E. Smith biascica lungo i suoi sermoni (come quel presunto recensore che ha scambiato Peter per una pizza e i cui deliri potete trovare in rete, tanto per ridere un po’). Rantoli di tastiere, schiamazzi di chitarre e i gargarismi di Smith, questo è quello che troverete qui dentro. Un abbecedario indisponente anche quando cerca la via più elementare della smorfia garage-punk alla Monks (No Respects rev, Kinder of spine) o della robotica krauta (Victrola Time). Tanto che quando arrivi ai piccoli capolavori del disco (Irish, Jetplane e soprattutto Loadstones) hai già contro tutta la tua famiglia, tutto il tuo condominio, tutto il quartiere, tutto te stesso. Gente che ti sopporta da 42 anni. E che quando passi balbetta e grugnisce come Mark Smith quando vede passare Sir William Wray. E che ha pure ragione di lamentarsi, mondo boja. (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 19 Giugno 2013