Dio Khan! L’estate è finita e il disco dell’estate arriva adesso che le donne cominciano di nuovo a coprirsi. Ispirato dal movimento per i diritti civili nato in Canada lo scorso dicembre, Mr. King Khan (che è canadese di nascita) rimette in piedi in fretta e furia i suoi Shrines lasciati a marcire per un intero lustro e assembla un nuovo, straordinario disco. Un album che più di ogni precedente profuma di aromi sixties, nel consueto narghilè dal sapore boogaloo. Meno tossico rispetto a certi fumi che uscivano fuori dalle feritoie di What is?! che lasciavano immaginare gli Shrines come una moderna versione della band di Sun Ra. Qui sembra di stare con un piede ficcato nei dischi dei Love e il sedere infilato dentro il juke box che passa Nino Ferrer. Un disco festoso, finché non arriva il buco in gola di Darkness. Un atto di dolore che inaugura lo spazio dedicato al ricordo di Bobby Ubangi (Bad Boy), Jay Reatard e Jay Montour (So Wild). Due ultime pacche sulle spalle degli amici andati a far baldoria altrove. Of madness I dream, inizialmente pensata per intitolare l’ intero disco, è la ballata scivolata giù da un disco degli Stones (Beggars Banquet? Sticky Fingers? Let it bleed?) che ci sorprende quarantenni bisognosi di un sogno per cui poter ancora sanguinare. Un giorno farò una festa e inviterò tutti gli amici che mi sono rimasti. Mi basteranno due metri quadrati e un disco di King Khan. (Franco Dimauro)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 12 Settembre 2013