La somma dei loro anni è inferiore all’età di Chris Thomas, il celebre produttore di Never mind the bollocks che ha messo le mani al loro album di debutto. Giovanissimi, quindi. Più giovani degli One Direction. Con le facce pulite, le chiome folte e i ventri piatti. Sedicenni che vestono come i Beatles appena rientrati da Amburgo e che la stampa sta montando come albumi d’uovo fino a farne il nuovo caso discografico dell’ anno, piazzandoli sulle copertine delle riviste e sulle app digitali di tutta quella parte di pianeta che non ha di meglio cui pensare. E questo è il guscio. Poi ci sono i tessuti molli: muscoli, nervi e vasi sanguigni. E vien da dire che le faine delle grandi compagnie del disco stavolta hanno annusato i culi giusti: gli Strypes sono dei borghesuoli figli di puttana che hanno passato le ore su YouTube guardando i video che possono farti sorridere oppure cambiare la vita: Willie Dixon, Bo Diddley, Slim Harpo e, ovviamente, i loro figli diretti. Dagli Stones agli Yardbirds passando per i conterranei Them. Loro non hanno riso. Si sono fatti portare dai genitori a Dublino, si sono comprati gli strumenti giusti e i vestiti dal taglio mod e hanno cominciato a suonare quello che avevano scaricato sul loro laptop. Solo, un po’ più forte. Ma anche meno incazzato. Era venuto fuori così, un po’ per gioco e un po’ per fare sul serio, il loro EP di debutto con le cover di Route 66, Leavin’ here, Got love if you want it e You can‘t judge a book. Quindi l’apertura della caccia. E adesso, questo bel disco di debutto. Con tutte le cosine al posto giusto, come una pin-up dei tempi andati. Armonica che fende l’aria (What the people don‘t see, She‘s so fine, Perfect Storm, Angel eyes, l’esplosiva cover di Rollin’ & Tumblin’), chitarre sporche quanto basta (Mystery Man) e un paio di numeri a presa immediata come Blue Collar Jane e il pub-rock di Hometown Girls. Tutte le cosine al posto giusto, come dicevo. Forse troppo. Anche se nessuno ha mai riportato indietro un poster di una pin-up, men che meno io. Però, così tanto per fare lo snob che sente un culetto che scorreggia anche se è tagliato in due da un bel perizoma, io un tantino di puzza di cosa costruita la sento venire su, anche se ben coperta con energia beat e rumori garage come capita di sentire molto ma molto raramente nei dischi da supermercato. Ma Snapshot val bene più di un ascolto. Più lui che io, di sicuro. (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 26 Settembre 2013