Jerry Lundegaard, venditore di automobili pieno di debiti a Brainerd in Minnesota, uomo mediocre e goffo, incarica due malviventi, Carl Showalter e Gaear Grimrud, reclutati in un bar di Fargo, Nord Dakota, di rapirgli la moglie. Lo scopo è quello di estorcere un milione di dollari al suocero, Wade Gustafson, per sistemare la propria posizione finanziaria e rilanciarsi come uomo d’affari affrancandosi proprio dal giogo del padre di sua moglie che gli manifesta in continuazione disprezzo e non concede sostegno (soprattutto economico) alle sue iniziative. Dopo il sequestro di Jean, però, i due criminali sono costretti ad uccidere un poliziotto in un posto di blocco e due turisti casualmente sopraggiunti. Gli eventi precipitano: il capo della polizia Marge Gunderson, incinta di sette mesi, indaga nella concessionaria dove lavora Jerry Lundegaard ed intuisce che è coinvolto nella macchinazione ordita ai danni della moglie e del suocero. Non riuscirà ad impedire, però, la successione di morti violente che si verificheranno da questo momento in poi: Carl Showalter, dopo una sparatoria in cui sarà comunque ferito, uccide Wade Gustafson che aveva portato al posto di Jerry il riscatto pattuito e, a sua volta, sarà massacrato a colpi d’ascia da Gaear dopo una concitata discussione seguita alla scoperta dell’omicidio di Jean da parte del socio stesso (uno psicopatico violento quanto silenzioso). Marge riesce a far arrestare Jerry Lundegaard, che era fuggito in North Dakota, e acciuffa personalmente Gaear Grimrud che stava cercando di sbarazzarsi dei corpi di Jean e di Showalter maciullandoli in un macchinario per la produzione di trucioli. Il marito di Marge, il pittore Norm, le annuncia che le Poste stamperanno il suo dipinto su un francobollo, il bambino nascerà fra due mesi: tutto sembra finito e la quiete può ridiscendere, come la neve, su Brainerd. Realizzato (apparentemente) senza grandi pretese, “Fargo” (1996) – che doveva servire ad Ethan e Joel Coen per recuperare il denaro perduto nella produzione dello sfortunato quanto brillante “Mister Hula Hoop” – si rivelerà una delle opere più icastiche e graffianti dei due fratelli. Ancora una volta per i Coen il film diventa un pretesto per effettuare un’originale rilettura del noir adattandolo ad un’analisi (acuta) del mondo contemporaneo che cela efferata crudeltà dietro una normalità fittizia. Gli stilemi del genere, infatti, vengono assunti con il deliberato scopo di essere beffardamente infranti. Sin dall’inizio gli autori sembrano deridere il pubblico: “Quella che vedete è una storia vera. I fatti esposti nel film sono accaduti nel 1987 in Minnesota”, recita la didascalia iniziale ma, in verità, ogni avvenimento narrato è frutto della malsana fantasia coeniana dal momento che anche “la realtà” – o presunta tale – è solo un “topos” al pari di ogni genere cinematografico e, dunque, può essere manipolata senza troppi vincoli o limiti che non siano quelli stabiliti dagli autori stessi. “Fargo” è, dunque, un’opera indefinibile – al pari della maggior parte delle produzioni dei fratelli Coen – che, se proprio volessimo categorizzare, appare una fiaba dark che oscilla in continuazione fra orrore ed ironia generando un clima grottesco che altera i connotati stessi della storia in maniera anodina, colta e sarcastica. Il film, immerso nel biancore della fotografia di Roger Deakins che fa brillare in maniera acceccante i luoghi costantemente innevati, è tanto geometrico e perfetto nel “plot” narrativo quanto il senso ultimo enigmatico e sfuggente: a dispetto, infatti, d’una vicenda tutto sommato semplice da ricostruire, lo spettatore rimane disorientato dalla visione di un’opera che non procede con linearità e che preferisce lo scarto disorientante fino ad adulterarne l’interpretazione. I fratelli Coen, fedeli ad un’idea di cinema il più postmoderno possibile, rendono, pertanto, “Fargo” il manifesto radicale della loro estetica: agglutinazione di cliché (la macchinazione estorsiva, il movente economico e la frustrazione emotiva, gli esecutori criminali spietati, la vittima predestinata, l’investigatore sagace, la scoperta del complotto, l’arresto e/o la morte di colpevoli) contaminazione parodistica di generi differenti (noir, thriller, gangster story, black comedy, horror), citazionismo maniacale (evidenti i riferimenti hitchcockiani, “Psyco” in particolare, con la protagonista che entra in scena dopo quasi mezz’ora, e ad Hawks), vorticosa differenziazione delle tecniche di ripresa (piani grandangolari molto stretti sui volti e sui corpi che s’alternano a movimenti di macchina molto bassi, quasi radenti il suolo, carrellate soggettive che cedono il passo a plongeè oggettive, suggestive quanto irreali, scenografie sghembe e claustrofobiche che seguono inquadrature dalla sbalorditiva profondità di campo). Per i fratelli Coen, però, la varietà della rappresentazione non ha il compito di riaffermare la molteplicità dei punti di vista e, dunque, la complessità del reale (come avviene per altri autori come Paolo Sorrentino o Paul Thomas Anderson) quanto, più probabilmente, di certificare l’insensatezza dell’esistere. Infatti, i modelli narrativi, oltremodo accumulati nel corso stesso del film, non vengono rinnovati, ma cartoonisticamente strapazzati fino a diventare degli stereotipi vuoti, privi di significato (generando turbamento e smarrimento) in un inquietante parallelismo con l’irrazionalità del vivere. Certamente “Fargo” descrive l’inarrestabile penetrazione del “male” nel mondo ma non ne analizza la genesi, non lo razionalizza filosoficamente né pretende, tantomeno, di contrapporgli una fantomatica idea di “bene” (la detective svolge solo il suo lavoro, così come i criminali perseguono i loro scopi) per il semplice motivo che, secondo i fratelli Coen, i comportamenti umani – la vita stessa in tutte le sue manifestazioni – non possono essere capiti e/o spiegati: tutto accade paradossalmente con una successione casuale, incomprensibile, priva di senso apparente in un universo neutro e freddo al pari del paesaggio di Brainerd dominato da un cielo nuvoloso e senza orizzonti, pianeggiante e desolato, senza montagne e foreste, drammaticamente oppresso dalla neve gelata. (Nicola Pice)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 2 Ottobre 2013