Episodi apparentemente fatui e senza nerbo, ma infinitamente rivoltosi e trascinanti come i versi di Inglan is a bitch e Street 66 che srotolano armonie insinuanti e fremiti di un reggae visionario.
Un autentico capolavoro dub/reggae che ti assorbe lentamente. Traccia dopo traccia. Ascolto dopo ascolto. Anno dopo anno. Un album che va piano, ma che picchia forte nell’intimo, stanando sogni e impavide passioni che si propagano attraverso il ritmo della poesia.
Episodi apparentemente fatui e senza nerbo, ma infinitamente rivoltosi e trascinanti come i versi di Inglan is a bitch e Street 66 che srotolano armonie insinuanti e fremiti di un reggae visionario.
Brani che narrano di discriminazioni, di soprusi razziali e di esecrabili dispotismi di cui fu vittima proprio il giamaicano Linton Kwesi Johnson in terra britannica.
Alla stregua dei Clash, che gettarono un ponte tra la musica bianca, i ritmi caraibici e la cultura dei neri britannici, l’emigrato LKJ (grazie anche alla regia di Dennis Bovell) con questo disco ha posto le basi per quel genere e quella scena che negli anni a venire saranno identificati anche come “Bristol Sound”.
Pubblicato nel 1980 da Island Records, Bass Culture di Linton Kwesi Johnson è un disco necessario. Vitale come il battito del cuore! (L.D.)
PS: articolo pubblicato originariamente sul PDF n. 1 del 2005 di Musicletter.it
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