È il primo lavoro sulla lunga distanza della formazione londinese dopo il discreto EP d’esordio realizzato sul finire del 2004. Cinquanta minuti di sonorità dalle essenze new wave e dalle plasticità pop (This modern love e So here we are) che si fortificano di fervori punk e atmosfere dark. Tredici tracce dagli avvii nevrotici e sobbalzanti come Like eating glass, con chitarre all’unisono e refrain alla maniera dei primi U2, e Blue light che rivela invece soluzioni alla Tv On The Radio. Quelli realizzati da Kele Okereke, Russell Lissack, Gordon Moakes e Matt Tong sono brani immediati, accattivanti (Helicopter) e dagli ambienti lievemente psichedelici (Price of gas); canzoni che entrano subito nella pelle, anzi, nei muscoli. Insomma, questi quattro personaggi britannici potrebbero essere i Cure che si colorano d’immenso, i Talking Heads guidati da David Byrne o gli Interpol che guadano tra le intemperanze collegiali dei Pixies (o dei Dinosaur j.r.) e le oscure cavità dei Joy Division. In verità, però, loro sono (soltanto) i Bloc Party, i nuovi alfieri dell’indie rock. E se gli anni zero saranno ricordati come il decennio del rock revival (dagli Strokes agli Editors passando per i Franz Ferdinand), non dimenticate di inserire questa band e questo disco sotto la voce “post punk revival”. Un album piacevole e sollazzante quanto basta. (Luca D’Ambrosio)
Articolo apparso sul Numero 2 del 2005 di Musicletter.it – PDF
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