Conosciuto per essere il personaggio che si nasconde dietro lo pseudonimo di Wolf Colonel, progetto intrapreso a Portland nell’autunno del 1996,[1] Jason Anderson decide di uscire allo scoperto realizzando questo stravagante album di cantautorato alternativo, il primo a portare il suo nome. Un lavoro entusiasmante che evidenzia le capacità di autore e d’interprete del giovane musicista americano. Alla stregua di un Will Oldham meno cresciuto e più immediato, Jason dà vita a canzoni intime e popolari discostandosi da quelle prime elaborazioni pop/rock che parevano muoversi tra i Buffalo Tom e i Guided by Voices. New England è, infatti, un’opera dalle atmosfere raffinate (I swear I am), dai passaggi oscuri e malinconici (I Want my summer back) e dalle intense ballate pianistiche (A book laid on its binding). Un disco che si fregia di memorie folk (Thanksgiving), di evoluzioni country/blues (Hold on e Christmas), di riverberi sixties (You fall) e, talvolta, anche di blandi stadi d’allucinazione (So long). Il tutto impreziosito dalle collaborazioni di Mirah e Phil Elvrum. Come un “beautiful loser” che narra le incertezze dell’umana esistenza, Anderson picchia forte sui tasti del pianoforte, accarezza le corde della chitarra e canta di miti che muoiono, di amori che finiscono e di passioni che nascono. Lui è l’amico “immaginario” che scrive di stelle solitarie, di albe raggianti e di tramonti infiniti. Momenti che fanno grande New England e, naturalmente, la vita d’ognuno. (Luca D’Ambrosio)
[1] AllMusic
Recensione pubblicata su ML – n. 11 del 31 maggio 2005
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