Forse non è mai passato di moda realmente ma ultimamente ha goduto di una rinascita che non va vista come un fulmine a ciel sereno. Parlo del Progressive Rock, genere così negletto alle generazioni punk e post-punk, e vilipeso da una certa critica (presunta) illuminata con una veemenza ingiustificata, pure alla luce del detto vivi e lascia vivere. Ovvero: non è scritto da nessuna parte che i generi musicali debbano piacere a tutti a ogni costo, perché nella varietà e nella vastità delle offerte musicali presenti sul mercato c’è spazio per tutti e per i gusti di tutti. A ognuno la sua musica, insomma. In realtà in molti – all’alba o all’indomani della rivoluzione Punk & New Wave – hanno considerato il Progressive la “Madre” di tutti i mali d’un evoluzione commerciale della nostra musica nei ‘70, nell’ambito di un fenomeno contro-culturale che blandiva tout-court l’eleganza, il melodismo e il sinfonismo di certe espressioni del genere Progressive. C’è stato un pregiudizio, non c’è che dire, ma anche un accanimento ingiustificato e un po’ tronfio. Ma a bocce ferme, ovvero alla luce dell’odierno panorama musicale, affermo senza mezzi termini: “ad avercene oggi di musica così!”. Personalmente credo di avere una buona apertura mentale per ascoltare senza preclusione alcuna le più disparate proposte musicali e valutare quelle che mi piacciono di più e quelle che mi convincono di meno, per cui mi sento di poter chiamare a raccolta gli appassionati di Progressive e dire loro di farsi divulgatori, di trasmettere ad altri le proprie conoscenze nel campo, che spesso sono radicate nella musica e negli album acquistati fin dagli anni ’70. Una premessa utile a spiegare a chi mi legge la sorpresa nel (ri)scoprire un album del 1975 di Alan Hull, ex co-fondatore dei Lindsfarne. Un disco, per di più, che nemmeno è Progressive autentico nel senso più stretto del termine ma rientra bene in quanto detto finora perché a ristamparlo e a rimetterlo in circolazione ha pensato la Esoteric Recordins, etichetta molto attenta (e attiva) oggi nel rilanciare la musica inglese dei ’70. In più, parliamoci chiaro, chi all’epoca (intendo la prima metà dei Settanta) era intrigato da questa musica ne aveva eccome di materiali per i quali entusiasmarsi, anche perché il mercato offriva buone opportunità di approvvigionamento, per cui sarebbe ‘sciocco’ e anacronistico considerare il disco di Hull che stiamo trattando come ‘un-capolavoro-dimenticato-che-finalmente-trova-la-sua-consacrazione’. No niente di tutto questo, perché non potremmo mai stigmatizzare – come invece tendono a fare alcune correnti di pensiero che privilegiano la ‘scoperta’ del nuovo ad ogni costo, della ‘conoscenza’ esclusiva e di nicchia – chi ai tempi d’oro del Progressive (tapino!) non ha ascoltato “Squire” di Alan Hull e invece ha avuto (o si è concessa) la possibilità di consumare i solchi dei dischi dei vari Genesis, Gentle Giant, King Crimson, Jethro Tull, Emerson Lake & Palmer, Banco del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi, Van Der Graaf Generator, Focus, Audience, Curved Air, Yes, e, spaziando pure sul fronte del Folk britannico, Steeleye Span, Fairport Convention, gli stessi Lindsfarne di cui Hull è stato leader e fondatore, e chi più ne ha più ne metta. Non mi sento affatto di biasimare costoro, e magari il recupero effettuato oggi – di questo come di altri dischi dell’epoca – dopo circa quarant’anni, ha più il senso dell’aggiungere un tassello alla propria collezione, al proprio bagaglio conoscitivo, al proprio piacere intrinseco di (ri)vibrare all’ascolto di quelle sonorità così distintive ed ammalianti che non un nostalgico ‘déjà vu’. Tornando all’oggetto della nostra recensione, Alan Hull, un tempo leader (oltre che songwriter) del gruppo dei Lindisfarne nei primi anni Settanta, è stato principalmente un ‘poeta della gente’ che, con sincero afflato, ha dedicato le sue liriche piene di realismo ai diseredati e agli incompresi, distinguendosi (e distaccandosi) con decisione dal glamour imperante sulla scena musicale del tempo, pure per il suo attivismo politico. Tra l’altro, per un periodo è stato anche infermiere presso una clinica di malati di mente e gente con problemi di alcolismo. Alan è scomparso il 17 novembre 1995 all’età di cinquant’anni, improvvisamente (per una trombosi) mentre era impegnato nella registrazione di un nuovo disco. Facciamo un passo indietro per raccontare brevemente la storia sua e del gruppo prima del ’75, anno di Squire. Era nato a Newcastle upon Tyne il 20 febbraio del 1945, e la sua carriera musicale aveva avuto inizio con una band locale, i Chosen Few, poi la svolta folk che lo ha portato nel ’67 a formare i Downtown Faction poi trasformati l’anno successivo in Lindisfarne, prendendo il nome dall’isola santa che si trova al largo della costa nord orientale d’Inghilterra, nel Northumberland, e vi è unita da una strada sopraelevata. La formazione comprendeva oltre Alan (voce, chitarra e piano), Simon Cowe (seconda chitarra), Ray Jackson (armonica, mandolino), Rod Clements (basso, violino) e Ray Laidlaw (batteria). Il gruppo otteneva immediatamente un contratto per l’emergente Charisma Records in virtù dell’apprezzamento che il suo boss Tony Stratton–Smith nutriva per i testi poetici di Hull e per il distintivo tocco british della loro musica. Debutto nel ’70 con l’album Nicely Out of Tune (tra i brani inclusi l’acclamata “Lady Eleanor”), seguito dal classico Fog on the Tyne (1971), con la celebrata title-track dedicata alla sua città d’origine, Newcastle, Clear White Light e l’anthem We Can Swing Together. I Lindsfarne hanno realizzato cinque album sotto l’egida della Charisma (“Dingly Dell” nel ‘72, “Lindisfarne Live” nel ’73 e “Roll On Ruby” nel ’74, gli altri) e altri 35 fino al 2004 nell’arco di circa trent’anni per altre etichette, sebbene la loro fama sia rimasta circoscritta e pregnante solamente nei primi anni Settanta. Il gruppo si scioglieva nel 1975 (si sarebbe riformato tre anni più tardi ma senza avere più l’appeal dei primi tempi) e Alan Hull avviava più concretamente una carriera solista di cui c’era stato un anticipo nel 1973 con l’uscita di Pipe Dream. Nel frattempo Hull pubblicava pure un libro di poesie, “The Mocking Horse”, che divenne un best-seller. Cosi “Squire” – registrato tra il dicembre ’73 e il gennaio ’74 negli studi Morgan di Londra, dopo la partecipazione come attore a uno sceneggiato omonimo della BBC – è il secondo album solista di Alan Hull ed il primo inciso dopo la fine dell’esperienza con i Lindsfarne, contiene 11 brani (rimasterizzati in questa circostanza), ognuno dei quali può dirsi rappresentativo di un momento creativo diverso del titolare dell’album. Salta immediatamente evidente a chi ha seguito la carriera dei Lindsfarne quanto del talento di Alan sia stato sacrificato alla ragion di stato e annullato dall’attività principale della formazione inglese. In effetti ad ascoltarle con attenzione le canzoni presenti nel disco avrebbero potuto essere hit indiscussi se interpretate dal gruppo nel periodo del massimo fulgore. La title-track è un pezzo dal concreto incedere bluesy, così come quello che lo segue, “Dan The Plan”, e “Nothin’ Shakin’ (But the Leaves on the Trees)”, gli altri brani si muovono – divertiti e divertenti – tra folk, canzone d’autore, progressive e perfino vaudeville impregnato d’umorismo, con sorprendente e accattivante aire. “One More Bottle of Wine” e “Golden Oldies” rievocano lo spirito dei brani dei Lindsfarne. Davvero un disco piacevole e sorprendentemente ‘fresco’ che ci restituisce un songwriter trascurato, tra i migliori della sua generazione. Rispetto alle precedenti edizioni in CD presenta due bonus track, “Crazy Woman” (facciata A di un singolo) e “Carousel” a suo tempo escluso dalla scaletta finale. A Squire, sarebbero seguiti Phantoms (1979) e On the Other Side (1983), prima di formare un gruppo, i Radiator, con cui incideva Isn’t It Strange nel 1977. (Luigi Lozzi)
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