Fracassoni come pochi altri (anche a quelle latitudini) i Cosmic Psychos inventarono, senza saperlo, quello che solo qualche anno dopo sarebbe stato schedato e storicizzato come grunge. A molte, molte miglia di distanza da Seattle. Gli attestati di stima rilasciati nel corso degli anni da Kurt Cobain, Eddie Vedder, Donita Sparks, Steve Turner, Butch Vig, Jonathan Poneman, Buzz Osborne (e alcuni dei quali adesso documentati su Blokes you can trust, il DVD che celebra il trentennale e la milionesima birra del gruppo australiano) lo avrebbero certificato. Ma sarebbe bastato ascoltare dischi come Bleach, Hungry for stink (con dentro una cover nascosta di Lost Cause, NdA), Rehab Doll, Lysol con l’opportuna dose di disinvoltura per capire dove quel suono sudicio tra Stooges, Black Flag e Black Sabbath aveva le sue radici: qui, nel cuore di Melbourne, estate del 1985. Un suono torbido come il piscio di un alcolista cronico dove al lerciume di estrazione punk si somma altra spazzatura tirata fuori a pacchi dalle aree urbane intossicate di Detroit e della Riverside County e che produce, con la prima line-up, i tre dischi appena ristampati dalla Goner zeppi di croste punk maleodoranti. Un basso fuzzato, una chitarra che alterna riffoni marci a squilibrate e parossistiche esibizioni di onanismo (l’assordante vento elettrico di Pub, Rambo, Quarter to Three, la lunga orgia di feedback di Crazy Woman), una voce sgraziata che non ha alcuna voglia di mostrare un’anima qualsiasi, supposta che ne abbia una. La musica del gruppo australiano era un delirante e truce crepitare di distorsioni sinistre. Un acrobatico e irriverente salto nella follia più dissacrante che sembra voler saldare i Sex Pistols ai Sonic Youth (Custom Credit), i Circle Jerks ai Motorhead (Back in Town), gli Stooges ai Nirvana (Go the Hack), i Cramps ai Cock Sparrer (You can‘t come in), i Saints ai Mudhoney (She‘s crackin’ up), i Public Image ai Miracle Workers (Elle). Slegati da ogni scena, i Cosmic Psychos sembrano fregarsene di tutto e di tutti, presentandosi con un’immagine del tutto anonima che rende ancora più pericolosa, in quanto celata dietro una superficie di apparente ordinarietà, la violenza di un suono spurio e adulterato che non ha perso una briciola del suo potere dissacrante e del suo sarcasmo politicamente scorretto. Voglio essere come David Lee Roth. Voglio quaranta donne obbligate a succhiarmelo. Voglio lunghi capelli biondi e un grande uccello da 20 pollici. Linguaggio da camionisti. Fegati da camionisti. Cappelli da camionisti. Musica da camionisti. Toglietevi dalla strada, che passa il bulldozer (di nuovo). (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 30 Novembre 2013