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Recensione: Motorpsycho – Demon Box (1993)

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La follia truce e deforme di Lobotomizer si stempera in parte su Demon Box, il primo disco imperdibile dell’immane e per molti versi mostruosa discografia dei Motorpsycho. Un disco, il primo doppio di una lunga serie, che fa paura e che inganna. Inganna con un inizio falsamente rassicurante come Waiting for the one che alla fine della titanica avventura mostra il suo vero ghigno malvagio in The one who went away (sfruttando, senza che quasi nessuno se ne accorgesse, lo stesso trucco usato da Neil Young su Tonight‘s The Night, Rust never sleeps e Freedom). Inganna con una copertina che sostituisce ai tre energumeni lungocriniti di Lobotomizer, una più rasserenante fotografia d’epoca che esibisce sorrisi sereni e domestici. Uno squarcio sull’ album del passato che musicalmente viene riaperto innestando a sorpresa, all’ interno delle diciassette composizioni, inserti pianistici rubati all’ archivio casalingo di Bent Sæther che generano ulteriore confusione in quello che è un enorme, assordante e spesso spiazzante collage sonoro dove collidono suggestioni folk, grunge, metal barbaro, musica popolare, raga ascetici, rumorismo, space rock, grattugie industriali, ombre prog, musica etnica, psichedelia, suoni acustici e folgori elettriche, sospiri sinistri e urla agghiaccianti. Un Ummagumma che inghiotte i corpi di Melvins, Dinosaur Jr, Hawkwind, Big Black, Grand Funk, Pink Floyd, Skinny Puppy, Kiss, Can, Nick Drake, Black Sabbath, Hüsker Dü, Metallica, Sonic Youth, Blue Cheer, Deep Purple ne smembra le parti e le risputa fuori con una freddezza raggelante, tirando fuori assieme a loro anche i propri demoni interiori, se volessimo tentare di dare una chiave di lettura psicologica al titolo rubato al libro di Ken Kesey. Se le lunghissime, grevi e sulfuree Mountain e Demon Box si fanno carico di raccogliere le carcasse più pesanti riattaccandone i brandelli in forma di suite, il resto del truculento pasto viene disseminato sulle tracce più brevi del disco, dai soffici arpeggi Drakeiani di Tuesday Morning a quelli alla Sonic Youth di Plan #1 passando tra la Babylon che sembra uno dei gradini fondamentali per raggiungere lo Zen Arcade e i Pavement che giocano con Lothar and The Hand People di Mr. Who?, i Camper Van Beethoven barboni di Waiting for the one e il grunge stropicciato alla Dinosaur Jr. di Nothing to say. In Finlandia vive Babbo Natale. In Norvegia il demonio. Pensateci, prima di spedire la vostra letterina. (Franco Dimauro)


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