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Recensione: Cesare Basile – Storia di Caino (2008)

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A distanza di quattordici anni dall’esordio (Pelle, 1994) e dopo due meraviglie che non smetteremo mai di ascoltare come Gran Calavera Elettrica del 2003 e Hellequin Song del 2006, Cesare Basile questa volta torna a solleticare le coscienze umane con un album ben più dinamico e sterzante dei lavori precedenti. Forse l’opera più diretta e immediata dell’artista siciliano che, pur non perdendo di un solo grammo di amara e struggente poesia, mette in mostra dodici tracce dai tratti prevalentemente blues consacrandolo, definitivamente, come fuoriclasse indiscusso del cantautorato nostrano. Con una timbrica vocale che a tratti potrebbe ricordare quella di Fabrizio De Andrè e una scrittura quasi alla Nick Cave, il viandante catanese srotola canzoni intimiste che intrecciano passione, sofferenza e una fatale elettricità in grado di toccare le corde del cuore. Gli agnelli, All’uncino di un sogno e Sul mondo e sulle luci sono gioielli d’infinito lirismo custoditi all’interno di un disco capace, come pochi in giro, di fondere tradizione e spirito rock. Una fatica che vede la complicità di Giorgia Poli, Daniel Ardito, Manuela Malfitano, Micol Martinez, Tazio Iacobacci, Massimo Ferrarotto, Fabio Rondanini e nientemeno che Robert Fisher (Willard Grant Conspiracy) che canta in What else have I to spur me in to love. Prodotto ancora una volta dall’inseparabile John Parish, Storia di Caino è un album che, in poco più di mezz’ora, stordisce, appassiona e non smette mai di infondere speranza perché – come dice lo stesso autore – “credere è sempre l’atto più grande della promessa d’amore”. (Luca D’Ambrosio)

[1]Recensione pubblicata su ML – n. 53 del 07.04.2008


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