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Recensione: The Pains of Being Pure at Heart – S.T. (2009)

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Travolgenti e leggeri. Sono questi gli aggettivi più appropriati per descrivere i Pains Of Being Pure At Heart, formazione con base a New York che infiamma questo inizio d’anno[1] con sonorità noise pop lievemente lisergiche. Un sound vigoroso che dapprima ci frastorna e poi, nel giro di un paio di ascolti, ci appassiona attraverso un incastro perfetto di voci e refrain estremamente ruffiani, impossibili da non canticchiare (tra tutte, l’ammaliante Young Adult Friction). Una leggerezza melodica dilaniata da chitarre elettriche, ora distorte, ora pulite e ora cariche di feedback, in cui si ravvisano echi di new wave e passaggi dalle glasse sixties. Quelle realizzate da Alex, Kip, Kurt e Peggy sono canzoni che entrano direttamente nella pelle; schegge di pop adrenalinico (Contender, Hey Paul, Everything With You e Come Saturday) da cui debordano piacevolissime eccitazioni di adolescenziale memoria che prendono il titolo di A Teenager In Love, The Tenure Itch e This Love Is Fucking Right. Un susseguirsi di richiami stilistici (college rock, noise, shoegaze) rivisitati in chiave decisamente personale, dove è possibile fiutare atmosfere alla Cure (Stay Alive) e rimandi di psichedelia cari agli Stone Roses (Gentle Sons). Potrebbero essere i My Bloody Valentine a braccetto con gli Smiths, i Ride che fanno colazione con i Field Mice oppure ancora i Jesus And Mary Chain che strizzano l’occhiolino ai Black Tambourine. In realtà sono semplicemente i Pains Of Being Pure At Heart, ovvero: il lato più elettrico, coinvolgente e brillante di certa musica pop in odore di revival. E, in uno slancio di “gioventù”, tanto basta per annoverarli tra le scoperte più entusiasmanti e corroboranti della fine degli anni zero. (Luca D’Ambrosio)

[1]Recensione pubblicata su ML – Update n. 62 del 20 febbraio 2009


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