È un folk dall’impronta malinconica, autunnale, umbratile, di rarefatta intimità, quello che ci propone l’irlandese James Vincent McMorrow con il suo ultimo album, Post Tropical, il secondo della sua ancor breve carriera. Canta in un falsetto così distintivo che si distacca nettamente dai toni più virulenti e caratteristici che legano tanti suoi connazionali alla tradizione musicale della terra d’Irlanda. Meditativa è tutta l’atmosfera emanata dal disco di McMorrow ma che, si badi bene, al reiterare degli ascolti rivela una levità e una gradevolezza del tutto sorprendenti. Il debutto era avvenuto nel 2011 con Early In The Morning, un disco che, oltre ad ottenere buoni riscontri di vendite e di consensi in diversi paesi del Vecchio Continente, gli ha donato visibilità anche in Usa e Canada ed era impostato su un accorato aire minimalista, mentre invece in questa occasione il cantautore ha provveduto alla costruzione di una tessitura sonora più ricca e pregna; il contributo vocale rimane importante e non passa inosservato, il falsetto continua a dominare la scena e rimane impresso nella memoria dell’ascoltatore, ma lo spirito è mutato – perlomeno a livello di strumentazioni – meno acustica e maggiore presenza di altre componenti. Il canto qui viene assecondato e sostenuto da un sostanzioso abbrivio elettronico (si ascolti “All Points” per esempio, ma non solo questo brano) fatto di pulsazioni insistite e beat prodotto dalla drum-machine, su cui si innesta il suono di un pianoforte condotto all’essenzialità, e tutti insieme creano momenti di magnificenza sonora, di crescendo sonoro e di coinvolgimento emotivo. È vero che l’album rimane sostanzialmente intonato con un mood invernale, con ballate quasi sempre impostate su tempi molto lenti e liriche che girano intorno al gelo dell’animo. Da ascoltare quando si ha voglia di lasciarsi andare ai ricordi e alle riflessioni in momenti di silenzio immacolato, tanto che potrebbe addirittura ergersi a colonna sonora dei propri sentimenti, è indicato per spiriti solitari, ma si commetterebbe un errore a ritenerlo un disco ‘triste’. Il trentunenne McMorrow, che ama ascoltare R&B e hip-hop, suona tutti gli strumenti cui si aggiungono fiati, clarinetti e batteria elettronica. In molti hanno voluto accostare James a Bon Iver (Justin Vernon) in una più generale sfera indie & folk – qualcuno ha azzardato pure Indie R’n’B – che contempla pure tra gli altri gli Antlers di Pete Silberman. Non ci sono brani che si elevano sugli altri perché è proprio l’atmosfera in cui ci si adagia all’ascolto dell’intero disco che è la componente dominante. Red Dust, con la ripetitività di alcune liriche e il suo battito elettronico, sembra quasi un lamento mantra ma assieme ad altri brani quali “Cavalier”, “The Lakes”, “Glacier”, “All The Points” e “Outside, Digging” diventano immediatamente familiare. (Luigi Lozzi)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 26 Marzo 2014