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Recensione: Nada – Occupo poco spazio (2014)

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Se in molti sono rimasti fermi all’immagine di una giovanissima (e allora quindicenne) Nada, protagonista del Festival di Sanremo del 1969 con il brano “Ma che freddo fa” (in coppia con i Rokes), e che a lungo è rimasto il suo pezzo identificativo, il suo cavallo di battaglia più significativo, costoro sbagliano a non aver resettato le proprie conoscenze dell’artista toscana. Che in tanti anni, pur avendo vinto un Festival di Sanremo in coppia con Nicola Di Bari (il brano era “Il cuore è uno zingaro” nel ‘71), pur non frequentando le zone alte delle classifiche e senza riciclarsi come una delle tante presenzialiste della scena televisiva di casa nostra, si è reinventata artisticamente tout-court, ritagliandosi (certamente con fatica e affrontando la strada più difficile) un ruolo di artista ‘totale’ e alternativa, di scrittrice, autrice teatrale e perfino di attrice (televisione, cinema e teatro), che oggi a sessant’anni da poco compiuti, e portati con incantevole levità giovanile, la pongono in quella schiera di artisti indipendenti che si mettono in evidenza (nelle opportune sedi) per il coraggio di percorrere le strade impervie e poco convenzionali della canzone d’autore sperimentale più che proporsi quale figlia della tradizione canora italiana più scontata. Fanno fede, fin dal ’73, un disco interamente composto da composizioni di Piero Ciampi, che della conterranea Nada è divenuto punto di riferimento oltre che fonte d’ispirazione, e le altre collaborazioni significative: prima con Paolo Conte, Baglioni, Venditti e Cocciante nei ‘70, con Mauro Pagani per l’album “Dove sei sei” (1999), quella con i Têtes de Bois nel 2003 o con Massimo Zamboni nel 2005 o con Morricone per il brano che lei canta nella colonna sonora del film di Francesca Archibugi “Con gli occhi chiusi”, e altre ancora. “Occupo poco spazio” è il titolo dell’ultimo lavoro discografico di Nada Malanima (conosciuta più semplicemente per il solo suo nome di battesimo) che giunge a quasi tre anni da “Vamp” (mixato negli storici studi di Abbey Road a Londra) e si compone di dieci brani tutti inediti; è un album che colpisce nel segno con la sua eleganza e con la trasversalità tra canzone d’autore, l’anima alternativa ed una qual ruvidezza di matrice (addirittura) punk. Da diversi anni, ed a capo di un percorso artistico complesso che l’ha vista pure eclissarsi per lungo periodo dalla scena, Nada è impegnata nella ricerca di nuove sonorità ed è artefice di sperimentalismi che sono il frutto di uno studio attento e di una maturità conquistata sul campo e non acquisita per‘grazia ricevuta. I testi assai curati, cui certamente non è estranea l’attività parallela di scrittrice condotta dall’artista, trattano di piccole storie quotidiane (dell’universo femminile soprattutto, con donne autentiche nelle loro sofferenze) fatte di amori e di solitudini, sono l’espressione di un composito coacervo di varia umanità e sono interpretati da Nada con appassionata intensità, non priva di poesia, corroborata sotto il profilo musicale da alcune felici intuizioni. Storie di donne, si diceva, intrecci di esistenze mortificate illuminate dalla fiamma della solidarietà che si innesca tra simili. Ad assecondare musicalmente Nada sul disco e nelle esibizioni dal vivo provvedono da qualche tempo il gruppo toscano (di Francesco Motta e Francesco Pellegrini) dei Criminal Jokers, più – in questa occasione – svariati altri musicisti assemblati nel garantire all’artista livornese un più che opportuno sostegno musicale e che tutti insieme vanno a formare quasi “una piccola orchestra non classica – sono parole della stessa artista -, ma con un’impostazione rock“. “L’ultima festa“, appare come una sorte di De Andrè in gonnella, con grande, apprezzabile integrità ed autorevolezza, c’è un po’ di Battiato in “Sulle rive del fiume”, mentre brilla l’incedere dolente de “Il funerale”, dal sapore Bluvertigo, e ci piace “Gente così“. Ma al di là di riferimenti appena percettibili si stratificano le diverse anime che Nada ha alimentato negli anni, con risultati apprezzabili ancorché raffinati. Un ottimo disco – e sorprendentemente incisivo – non c’è che dire. (Luigi Lozzi)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 26 Marzo 2014

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