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Recensione: The God Machine – One Last Laugh In A Place Of Dying… (1994)

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Spesso preferisco le mezze verità alle bugie. Le preferisco sempre alle verità intere. Perché le verità intere non servono che a far male. La metà pesa meno. Il cinquanta per cento in meno. Una mezza verità è anche mezzo dolore, quindi. Se chi ve le spaccia è abile a truffarvi, anche meno. Tra la risata e il posto della dipartita dell’atto finale dei God Machine, ci sono una verità e una bugia, equamente dispensate. Copertina bianca come un sudario. Bianca come il bianco che fa paura. La musica dei God Machine è un lunghissimo tunnel senza alcuna luce alla fine. Una sequenza infinita di massi che si susseguono con una ripetitività geometrica asfissiante e opprimente. Parallelepipedi di pietra su cui qualche adolescente sanguinante ha lasciato qualche scritta per immortalare una smorfia del suo dolore. Le ha incise con le unghie. Perché il dolore è un bulino che raschia. Poi arrivano altri dolori. Poi ci vengono a prendere, sempre. Jimmy posa la torcia. Fuori ci sono nuvole rosa. L’amore viene a prenderlo, su un’auto senza specchietti. È domenica: Dio si riposa. (Franco Dimauro)



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